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Le forme dello stile"
(e la cultura al tempo del progresso tecnico e della globalizzazione)

Testo di Valentina Incardona
vale.inca@yahoo.it

Buga - Città di confine
(olio su tavola 100x70)

Gabriele Buratti, in arte Buga, utilizza forme e tecniche classiche per esprimere problematiche attuali attraverso un linguaggio pittorico originale, impegnato e denso di contenuti, radicato nel tessuto storico, sociale ed economico del nostro tempo. La sua sensibilità di architetto-pittore si concentra nell'analisi di dati storici, strutturali e antropici del territorio. Questi si traducono in un'espressione artistica composita che sintetizza in sé istanze pop, simboliste, surrealiste, ma anche minimaliste e concettuali.
Uno dei temi più cari all'artista è l'architettura delle città, il cui sviluppo si innesta nel confronto critico fra l'ambiente urbano contemporaneo e la sacralità della natura sempre più contaminata da politiche economiche prive di etica quanto di scrupoli progettuali. La poetica incisiva di Buga mostra la sintesi di un folklore urbano tipico delle grandi metropoli americane, che risente anche della mentalità commerciale del capoluogo lombardo. Non manca una certa attenzione per le città italiane ed europee e per il loro patrimonio architettonico che nei dipinti emerge fra le spire di lievi velature cromatiche, nebbie spesso artificiali, in cui ad esempio le fumosità londinesi sono sentore di un ovattato oblio dell'esistenza umana legata alla terra e alle sue simbologie e ritualità originarie, ormai evolutesi in nuove soluzioni espressive che contemplano articolate e conturbanti architetture. Con una accurata sensibilità per il disegno, Gabriele Buratti riproduce suggestive vedute urbane cogliendone i valori plastici e spaziali. Dal punto di vista stilistico, le opere presentano un particolare romanticismo lirico che si riconnette alle atmosfere del cinema muto o a quelle delle città statunitensi dei primi decenni del Novecento viste attraverso lo specchio delle pellicole hollywoodiane. Non mancano inoltre riferimenti alla fumettistica e alla tradizione pubblicitaria; non è un caso, infatti, che in alcune immagini metropolitane siano riconoscibili i tratti di una Gotham City piuttosto che gli scenari in voga negli spot dei chewing-gums della Brooklyn.

L'avviluppante e nebuloso grigiore della selva urbana suscita talvolta l'attenzione di un accorto osservatore rappresentato nei dipinti, che si rivolge, scrutandole, alle icastiche altezze raggiunte da imponenti complessi architettonici: il suo sguardo, che pare via via indagatore e attonito, ammirato, ma anche sgomento e rassegnato, sembra essere quello dell'artista stesso, che si pone di fronte alla realtà che lo sovrasta. L'inquietudine che pervade la scena è data da una frustrazione delle attese al cospetto dell'invariabilità di un sistema imperniato, senza che al momento possano intravedersi alternative, su uno sviluppo essenzialmente capitalistico che non tiene conto nemmeno delle caratteristiche storiche e ambientali distintive di ogni singolo territorio deputato oggi al rapido dilagare di complessi immobiliari miranti alle altezze più sensazionali.

Buga - Passaggio obbligato (olio su tavola 64x95)

Riduzionismo e cinismo sono fra gli aspetti del nichilismo contemporaneo, che procedono di pari passo con il materialismo, gli esiti del neoliberismo capitalista e con quegli stessi miti del progresso più sfrenato e della mercificazione ad ampio raggio nel cui humus si è radicato un imperante quanto nullificante vuoto esistenziale, originato anche dall'assenza dell'istinto come della tradizione, per cui spesso il singolo non sa più neppure ciò che in fondo vuole e di conseguenza tende a volere quello che gli altri fanno o a fare quello che gli altri vogliono, con il rischio così di cadere vittima del conformismo ovvero di piegarsi al totalitarismo. In una bigia uguaglianza il più possibile impersonale propugnata da una massa informe e senza volto, atterrito dall'idea della responsabilità, l'uomo medio appare spesso contrassegnato dai sintomi nevrotici dell'umanità odierna, ottusamente incapace di mettere a frutto la propria libertà (compresa la libertà di poter dire anche no, persino a se stesso); dapprima manipolato, per finire con l'essere a sua volta manipolatore di masse disposte a infervorarsi per l'uno o per l'altro slogan superficiale, violento, populista, demagogico. Il progresso tecnologico e scientifico è fiancheggiato da un diffuso regresso sul piano morale che intacca anche la libertà personale e l'autonomia di pensiero. L'inesorabile mannaia della crisi contemporanea colpisce sì l'economia mondiale, ma ancor più l'uomo e i suoi valori fondanti. L'omologazione di massa e delle idee, così come quella delle coscienze, produce relativizzazione della verità, negazione del trascendente. E la spasmodica elevazione alla conquista di vertiginose verticalità materiali, tacita esorcizzazione della finitudine umana e della morte, è una lineare salita verso l'alto, una scalata che non può eludere perniciose logiche di consumo e non sa sfiorare le profondità che consentirebbero di andare «oltre» l'uomo stesso e il suo desiderio di controllo della spazialità alla ricerca di un «potere verticale», nel rispetto della natura, della pluralità dei suoi ecosistemi e delle specie viventi.

Buga - Contenitore urbano_10 (olio su tavola 65x85)

La creazione artistica di Buga offre agli sguardi spazi convulsi e lancinanti che si affacciano alla vista e dopo si perdono nel chiaroscuro di toni brunati, qualche volta nerastri. Il fruitore delle immagini coglie territori snaturati dall'incombenza di casermoni evocanti ecomostri, alienanti dormitori, colossi di cristallo quali simboli del potere che vi si annida. Nei dipinti, la profondità spaziale è rappresentata con straordinaria capacità di controllo degli elementi architettonici, spesso ridotti a sagome geometriche. Lo skyline di metropoli, riprodotto in maniera armonica e informale, si carica di echi ancestrali.Fabbriche, gru, cantieri, profili di grattacieli immersi nello smog in metropoli di asfalto trasmettono un fascino inatteso che a tratti disorienta, calati come sono in ambientazioni notturne, dove un baluginare di forme si distingue, fra oniriche dissolvenze, in un grigiore spezzato soltanto da flebili venature di viola e d'azzurro.

Un fitto velame di nubi fascia il taglio prospettico degli ampi canaloni scavati tra grattacieli anonimi e impudenti. Percorsa da una fredda foschia che risale gli spazi, l'arte stessa diviene una simbolizzazione che assume il carattere di prefigurazione, di anticipazione degli eventi.
Negli scenari urbani la figura umana è per lo più assente, ma gli esiti del suo operato sono ampiamente manifesti in ogni singolo dipinto. L'inquinamento evocato nei quadri, che risente di una visione della Milano vittima dello smog attuale, non è soltanto atmosferico, ma anche delle coscienze; l'unicità dell'uomo, la spontaneità della natura e il mistero del sacro in essa racchiuso si perdono negli ingorghi della città-contenitore, locatrice di solitudine.
Gli ambienti metropolitani, similmente alla realtà nel suo insieme e alla produzione artistica stessa, sono marchiati da codici che si configurano come una asettica sequenza di cifre impresse sulla pelle dei dipinti, come se la società capitalista fosse avvertita dal pittore alla stregua di un Lager in cui si amplificano angoscia e perdizione. Un'originale intuizione artistica di Buga consiste nel dare risalto ad alcuni aspetti semiotici del mondo moderno, con l'inserimento nelle proprie opere degli stessi codici a barre che si trovano sui prodotti immessi sul mercato. Segno distintivo della pittura più matura di Gabriele Buratti, il codice a barre è il linguaggio freddo e occulto del potere riconoscibile soltanto dalle macchine, ma anche il simbolo del consumismo e del sistema economico odierno degenerato in una mercificazione globale che coinvolge anche gli esseri umani, i valori etici e molti aspetti estetici. Poiché tutto sottende la vendita e tutto sembra essere in vendita, le categorie del reale sono «etichettabili» e catalogate con codici che ne legittimano, anche visivamente, la presenza sul mercato.
Fra le predilezioni tematiche di Buga vi è inoltre la resa grafica dell’immaginario femminile, in cui si legge una specifica ripresa di moduli della Pop art e del suo cinismo graffiante. Questo neopop che inquadra la pittura nell'ottica dei prodotti di stampo commerciale, sotto l'influenza di modelli americani, offre immagini di soubrettes raffigurate in serie con la tecnica del collage, sulle quali converge l’occhio dello spettatore che, già preda di un ossessivo martellamento pubblicitario, frutto anche di una cultura edonistica per la quale tutto è provvisorio e relativo, percepisce la figura femminile come un corpo in mostra al pari di un oggetto o di un monumento. Il potere mediatico sembra detenere il primato anche nella manipolazione del sentire comune, a livello globale.

Vessilli dello sviluppo economico, dell'accelerazione dei processi industriali, nonché delle conseguenze del progresso, siano esse positive o negative, i mezzi di trasporto (come anche quelli di comunicazione) che catturano l'interesse del pittore sono emblemi di un mondo in cui le distanze si accorciano e i ritmi vitali si fanno sempre più incalzanti, esigenti di contenuti, o forse piuttosto di riempitivi occasionali. La delirante dialettica fra produzione e distruzione instauratasi nella società dei consumi è un aspetto per nulla sconosciuto al sistema capitalistico che Buga elegge a modello d'ispirazione artistica e ad argomento di denuncia, di cui dà una riproduzione mediata dalla lente soggettiva della propria osservazione.


Buga - L'anima del '900 (bassa)
(olio su tavola 61x115)

Eloquenti figure di aerei che si stagliano contro cieli plumbei, di poco accosto ai grattacieli, restituiscono immagini che richiamano il collasso delle Twin Towers e l'ondata di eventi che lo ha seguito. E, dal canto suo, la cupa cortina di fumo che accompagna il lento procedere di navi, la loro austera imponenza, è memore dei commossi addii che a inizio Novecento si staccavano dai porti insieme con gli emigranti, gli occhi annebbiati da lacrime e da agenti inquinanti; braccia da lavoro stipate tra merce, bagagli, bestiame, carbone: speranze e illusioni ignare del domani che passa attraverso Ellis Island, come pure dalla punta di un iceberg. Il distacco delle navi dalla banchina pesa quanto una virata di troppo, foriera di disastri ambientali.

Buga - Titanic 642
(olio su tavola 100x140)

Attraverso una semplicità peculiare, la tecnica impiegata da Buga trasmette un'efficace immediatezza. Nella sua cromaticità limitata, la pennellata pastosa, a olio, è soggetta a graffi di spatola e di carta vetrata. Fra i modelli di riferimento, per Gabriele Buratti occupa un posto di rilievo il pittore Anton Zoran Mušič, dal quale risulta influenzato specie nell'impiego del colore. L'artista goriziano aveva potuto osservare di persona, trasferendolo nei suoi dipinti, segretamente realizzati nel campo di concentramento di Dachau, il terrificante potenziale del progresso tecnologico, lucidamente inserito all'interno di parametri industriali e applicato persino nella pianificazione dello sterminio di massa. Nelle opere di Buga, in cui l'intensità emotiva è piuttosto velata e, prima che una connotazione spaziale, la prospettiva assume un valore temporale e intimista, la ricerca della luminosità soffusa diviene rarefazione dei contenuti emozionali nell'arte e le tinte fosche e brune si dipanano in espressioni pittoriche misurate.

Nella riflessione sui pericoli del progresso a scapito della conservazione degli ambienti naturali, è significativa la presa di posizione di Gabriele Buratti che, con un intento provocatorio, affronta in chiave artistica la concezione del sistema edilizio odierno e le sue prospettive di sviluppo che necessiterebbero di un ripensamento dell'architettura in favore di una vita in simbiosi con la natura. In mezzo a imponenti e desolati complessi architettonici l'artista introduce poderose figure di animali, esotici e non, che simboleggiano una primitività genuina in contrasto con i paesaggi che sono all'oggi irrimediabilmente snaturati. Un esorbitante consumo di suolo, che cela talvolta ombre di guadagno illecito e di abusivismo edilizio, costringe la natura a far mancare all'uomo i codici di riferimento basilari. Con fare dissacratorio e ironico, Buga raffigura un paradigma selvaggio in cui l'erba sconfina nell'imperturbabilità dell'asfalto e gli animali fuggono, sfollati e spaesati, vittime inermi di fronte all'arbitrio dell'uomo, alle sue guerre, alla sua hybris architettonica che risveglia poi una impietosa nemesi espressa magari attraverso mutamenti climatici.


Buga - Ricognizione umana
(olio su tavola 117x117)

Forme statiche di cemento sono avvicinate alla schietta fisicità di animali in fuga che creano un marcato senso di straniamento ed è talmente grande la distanza culturale tra le entità che si trovano a condividere il medesimo spazio dipinto da non rendere possibile una comunicazione fra loro. Affascinante è l'impressione ottica dei volumi architettonici, pur in una semplice composizione spaziale delle scene, mentre il colore, pressoché monocromo nei toni di grigio, conferisce anche allo sfondo un vago significato antimaterico. Questo pone in risalto le immagini degli animali che sembrano materializzarsi in primo piano. L'innovativo linguaggio pittorico di Buga, tanto alogico quanto simbolico e surreale, porta alla luce i legami esistenti tra gli elementi più disparati e l'arte ha la capacità di comunicare le molteplici emozioni che egli avverte come simultanee, evidenziando le corrispondenze tra mondo oggettivo e sensazione soggettiva.

Buga - Il ritorno dell'acqua (olio su tavola 80x80)

NOSTALGIA DEL PARADISO

Piove l'Africa, quando è
Stagione; così colora di rame
Il serpeggiare dei sentieri,
I tetti di paglia, di lamiera
E stende un arido strato di
Polvere che s'aggruma persino
Sull'assenza di tutto che
Ciascuno condivide come
La più democratica e amara
Delle sorti. Canicola sui dossi
Incolla il verde alle colline,
Converge su scavate esistenze e
Ricade sui bambini che
Inseguono festanti i fuoristrada,
Granelli scalzi radunati da
Scirocco. Cammina il deserto
A corrodere savane, spossate
Piste percorse da preghiere.
Posata la fuga, anche la
Gazzella temporeggia nel
Suo svenduto esilio, abbagliata
Da recisi spazi. Più in là,
Dell'aria la scorza l'abbranca e
Scotta, dove ormai avvampa
Cemento da sponda a sponda:
Si misura a spanne la distanza
Tra i grattacieli, disanimati
Templi di ombre lunghe
.

- Valentina Incardona -

Sito personale del pittore Gabriele Buratti:
http://www.gabrieleburatti.com

Pier Luigi Coda e l'osservazione critica del reale

Sorge spontaneo uno dei paragoni possibili al di fuori del campo artistico e il pensiero va ad esempio ai personaggi tratteggiati da Pier Luigi Coda, autore di testi per ragazzi, nel suo racconto incentrato sulle vicende dell'asinella Martina; un accostamento suggestivo e non del tutto peregrino se, nel pieno della globalizzazione, si individua una riflessione sulla società contemporanea e sul suo futuro, formulata attraverso le più svariate espressioni della cultura: dal linguaggio pittorico, alla prosa narrativa, alla poesia... Non esiste cultura senza coscienza critica. La cultura, impegnata o meno che sia, di per sé è un valore, generato da valutazioni personali consapevoli e circostanziate. La personale sensibilità critica di Gabriele Buratti, applicata all'osservazione della realtà, così come quella di Pier Luigi Coda, insieme con un particolare gusto ironico, si traduce anche nel collocare asini ritrosi e un poco rassegnati in mezzo a una giungla di sfrontati grattacieli.

Buga - Disoccupato (olio su tavola 70x93)

Quello di Pier Luigi Coda è un racconto surreale, teso fra umorismo e malinconia, in cui sono trattate tematiche attuali e delicate come la tutela ambientale, il rischio di estinzione per molte specie di animali, ma anche il rapporto conflittuale che sussiste fra etica e profitto, soprattutto nel controverso mondo aziendale. Fra il susseguirsi di improbabili comparse, è affrontato poi il problema della ricerca biogenetica incontrollata, dove le potenzialità benefiche della scienza sconfinano nella tracotanza di unosperimentalismo gratuito che rasenta lafollia. Opportunismo, prevaricazione, ipocrisia sociale sono lo scenario nel quale operano luminari tanto saccenti quanto incompetenti, ma costituiscono anche il terreno in cui prosperano «sotterfugi, imbrogli, ruffianerie» e malversazioni nell'ambiente lavorativo, che contrastano vigorosamente con il dolce stupore di un'asinella naufragata nel riflusso degli eventi che una notte la conducono al diciottesimo piano di un grattacielo, nell'appartamento che l'ingegner Bentivoglio condivide con la moglie e con i figli adolescenti Simona e Tobia. La protagonista Martina è un'eroina a metà, la cui caratterizzazione sembra adattarsi alle note ondivaghe del racconto; un personaggio generoso ma a tratti insofferente, mansueto eppure talvolta impulsivo, così sinceramente mite da risultare ingenuo, semplice, asinino appunto, di tanto in tanto sospettoso, grottesco, irriverente.

Martina è catapultata suo malgrado in una realtà umana e urbana quanto mai aliena dai ritmi naturali più congeniali alla sua esistenza.

«Già, si fa presto a dire: “Che cosa facciamo?”. Fosse stato un cane, un gattino... ma qui ci si trovava di fronte a un animalone grande e grosso che, tra l'altro, puzzava. Puzzava e tremava ().

E lui... – continuò il taxista indicando l'asino con un cenno del capo, – lui è sempre della compagnia?
– A volte... dipende... – borbottò Tobia con ostentata indifferenza per lasciare cadere il discorso.
– Capisco! – concluse il taxista che in realtà non aveva capito niente. Poi, con molta professionalità, annunciò:
– Ecco, siamo arrivati.
Simona guardò il grattacielo. Nell'oscurità lo trovò altissimo, ancora più alto di quanto le sembrasse abitualmente; la sua sagoma bruna si arrampicava verso una profondità senza fine, sospinto da una scacchiera di finestre illuminate in modo irregolare: una qua... due di là... alcune più su ancora.
– E adesso? – domandò, – come faremo a portare questa bestia fino al nostro piano?
– Lo metteremo nell'ascensore, no? – la tranquillizzò Tobia.
Già, nell'ascensore... se l'asino è d'accordo, ma se invece (tiralo per le orecchie, spingilo per il sedere) l'asino di entrare nella cabina dell'ascensore non ne vuole sapere, cosa si può fare? Con le buone no, con le cattive no, e allora?
E allora non resta che armarsi di coraggio e avviarsi su per le scale.
Un piano, due piani, tre piani... al quinto l'asino incominciò a porsi delle domande e a guardare con aria interrogativa prima Tobia e poi Simona
».

Buga - Cittadino onorario (olio su tavola 50x60)

E, oltre alle peripezie logistiche, per il malcapitato animale non mancano disavventure domestiche nell'ambito della famiglia di adozione.

«– Non dite sciocchezze, – interruppe la signora Elisabetta, – gli asini mangiano erba!
 – Erba? E dove troviamo l'erba?
Nei prati è ovvio, ma in una città di grattacieli con le strade e le piazze asfaltate?
– Si potrebbe guardare su Internet se oltre all'erba gli asini mangiano qualcos'altro, – propose Simona
».

Nel racconto si fa frequentemente cenno al rapporto con la città che caratterizza la vita quotidiana dei protagonisti; l'ambiente urbano, osservato per lo più «nell'oscurità della notte», appare alla stregua di un groviglio fumoso, multiforme (e spesso desolatamente informe) che si profila in mezzo a bagliori ipnotici di luci intermittenti, elementi architettonici di smisurate proporzioni, corpi inafferrabili in rapido movimento, sagome sfuggenti che si dileguano al ritmo di un sommesso caos di sottofondo, nella più totale indifferenza degli abitanti, che coesiste con i loro gesti automatici, le attività rese meccaniche dall'abitudine, l'assopimento degli animi.

«Tobia e Simona guizzarono come lampi sfrecciando sopra i marciapiedi e rincorrendo i colori accesi delle insegne: verdi, gialle e blu. A tratti venivano fasciati da un getto di luce che li avvolgeva e che subito si allontanava nell'oscurità della notte da un grattacielo all'altro, da un semaforo all'altro serpeggiando a fianco delle scie luminose delle auto. Più presto, più presto ancora, e così scomparvero nel vortice della città e dei suoi rumori notturni (…).
[L'ingegner Bentivoglio] si trovava al 18° piano di un grattacielo e di lassù la città si confondeva nell'oscurità della notte con un groviglio intermittente di luci e di colori che sfilavano a perdita d'occhio. Aprì la finestra e si stupì del grande silenzio che lo circondava. Nessun rumore poteva raggiungere quell'altezza (…). Allora sbirciò le strade che si snocciolavano intorno agli isolati come serpentoni oscuri, sfuggenti, resi viscidi dalla bruma notturna. La città gli apparve più grigia e fumosa del solito, anzi senza alcun colore, neutra, indifferente, lontana».

In una simile ambientazione, parossistica e spersonalizzante, non c'è da stupirsi delle consuetudini patetiche e anche un po' perverse di cui si fregiano togati rappresentanti dei quartieri bene, immersi nel più comico snobismo, ammantati nella sfarzosa miopia del loro perbenismo egoista e del culto ipocrita di un'apparenza conformista che è insieme routine e assuefazione: una miscela di tratti che si stemperano in un clima di cinica amarezza, sulla smorfia di un sorriso agrodolce sospeso a mezza bocca poiché, anche fuori di metafora e di narrazione, troppo spesso natura e animali sono piegati al capriccio dell'uomo; ora con il pretesto della ricerca medica e scientifica, ora per il desiderio di un esotico esibizionismo o di un passatempo transitorio, da abbandonare magari alla prima piazzola d'autostrada...

«Di sera, quando si accendevano le luci della notte, la famiglia Bentivoglio, come tutti i possessori di animali che abitano nelle metropoli, accompagnava l'asina a fare una passeggiata per i giardini del parco.
Certo, movimentare Martina dal 18° piano di un grattacielo non era un'impresa facile, ma l'ing. Bentivoglio, essendo appunto ingegnere, aveva esaminato scientificamente il problema e disegnato un percorso operativo per agevolare gli spostamenti (…). Nella notte i viali si popolavano di distinti signori che tenevano al guinzaglio la più incredibile varietà zoologica: dalle pecore alle iene, dalle papere alle volpi argentate, ai castori, ai tassi malesi (…). Al riparo dei cespugli o nascosti dietro i tronchi degli alberi, s'incontravano personaggi insospettabili, eccellenti professionisti, imprenditori affermati e giovani signore della migliore borghesia cittadina, eleganti come se fossero agghindate per una serata di gala
».

Meta abituale e privilegiata di una simile pletora animata non può che essere un enigmatico e perturbante «Parco transgenico» che assomma in sé le connotazioni e le conseguenze di una spregiudicata sete di conoscenza, dei passi falsi della scienza e della sua ostinata e frenetica corsa a marcia ingranata. Lungi dal rappresentare un luogo di raccoglimento e di incontaminata pace, simbolo della Natura per antonomasia e della sua libera espressione, il parco è il sipario sul quale sfilano le sperimentazioni sfuggite di mano a un'ansietà di effimeri traguardi, carica di pretese e distante anni luce dall'etica e dall'utilità pratica della vita comune, esasperata e supponente smania di successo e di autoaffermazione.

«Sono il parco del transgenico
Proiettato in chiaroscuro
Dal progresso biogeotecnico
Verso il mondo del futuro.
Sono il culto della scienza,
Una sintesi perfetta
Reinventata con sapienza
Dalla genesi in provetta
».

Alambicco

Clony

Proprio all'interno del parco, oltre che con Clony, una pecora nata dalla provetta, Martina stringe amicizia con Mustafà, «un ippopotamo extracomunitario proveniente dall'Africa», qui portavoce di una schiera di specie animali la cui esistenza è in bilico tra la cattività e l'estinzione, emblema della natura guastata dall'uomo, ma anche e non da ultimo spia di una fortunata iconografia pubblicitaria ampiamente saccheggiata negli anni da svariati spot di efficace impatto visivo che di questo animale hanno sfruttato l'immediatezza del messaggio di placida e bonaria tenerezza trasmessa dalla sua corpulenta figura.
Non a caso, nell'incontro tra cultura, arte, mass media e società del benessere e del consumismo è evidente una proiezione degli ideali comuni sui valori dell’immagine, intesa principalmente come apparenza. Le masse popolari si identificano così nei miti di volta in volta creati dalla pubblicità e dai media, che proiettano su di esse sempre nuovi bisogni indotti, e non primari, per garantirsi un numero crescente di consumatori di beni materiali.

«– Perché non sono rimasto? – ripeté l'ippopotamo. – La risposta è semplice mia cara, perché la siccità e le modifiche dell'ambiente apportate dagli uomini hanno deviato il corso dei fiumi, hanno prosciugato i miei laghetti e inaridito i pascoli (…). Mentre ci allontanavamo, intravedevo la savana: era diversa, inaridita, sapevo che non l'avrei mai più rivista; eppure, anche così devastata, mi sembrava bellissima (…).
Mustafà parlava dell'Africa e dei corsi d'acqua che di punto in bianco sparivano e non si sapeva dove finissero, parlava anche della savana che, anno dopo anno, s'inaridiva sempre di più compromettendo la sopravvivenza di tanti animal
i».

Mustafà

Il testo di Pier Luigi Coda procede con misurata rapidità narrativa e si snoda attraverso molteplici temi, ma a un certo punto, tra il serio e il faceto, interessi e logiche di mercato sembrano insinuarsi persino nei luoghi più rassicuranti, riscaldati dagli affetti familiari, nonché nella vita privata e nei pensieri sempre più di frequente pungolati da piani Marketing, previsioni di budget e quote societarie dell'ingegner Bentivoglio, coprotagonista del racconto, umanissimo nella comicità dei suoi slanci incongruenti e insieme simbolo dell'onestà immancabilmente bersagliata da intrighi professionali dettati da un'insaziabile brama di ricchezza e di potere.

[Ing. Bentivoglio] «– Vedi, Martina, non fai più reddito e neppure quota di mercato.
Allora Martina s'intristì perché pensò di non essere nata per fare quota di mercato ma per guardare il sole sorgere all'alba e tramontare nelle ore tranquille della sera, soprattutto d'estate quando friniscono le cicale e le rondini garriscono frenetiche rincorrendosi sopra i campi di grano
».

Anche nel lavoro di Pier Luigi Coda, che spazia fra diversi campi culturali della contemporaneità, è insito un impegno ad acuire la consapevolezza dei fruitori, attraverso messaggi che manifestano l'esigenza e l'urgenza di un cambiamento.

Mai come oggi sensibilità critica e autonomia di pensiero si raccomandano anche a fondamento della cultura. Laddove la capacità valutativa si indebolisce oltre misura e ogni giudizio è demandato al mercato, la cultura stessa diviene pressoché un settore merceologico o un ambito della burocrazia statale. Il significato del termine «cultura», di per sé complesso e polisemico, è in continuo mutamento e, negli ultimi decenni, è mutato il punto di vista sull'argomento. In diversi ambiti, come in quello sociologico, antropologico, ma anche filosofico e demografico, si ragiona su un concetto di cultura in espansione, relativo e multidisciplinare. Per quanto concerne il mondo occidentale, sia pure con differenze non marginali, si è individuato un panorama di «cultura convergente» in cui il consumo di massa risulta attenuato, frantumato com'è in una pluralità di nicchie e di sottogeneri. In un simile contesto, non sarebbe errato parlare di una «personalizzazione di massa».

Buga - Public relations (olio su tavola 98x98)

La debolezza più vistosa rimane, però, il declino della critica, sia di carattere artistico e letterario sia culturale e politico. In una società fondata sul consumo non è trascurabile inoltre il rischio che si tenti di trasformare non soltanto la natura, ma l'umano stesso in merce, facendo sì che quanto comunque resiste a una tale assimilazione, ad esempio a livello spirituale, risulti banalizzato ovvero marginalizzato. Nelle maglie dei processi postilluministici di modernizzazione si è pericolosamente profilato il carattere strumentaledella razionalità, così come il prevalere dell'efficienza a scapito della responsabilità morale. Non di rado l'uso della ragione si è piegato al punto da spezzarsi in un pensiero schizoide, che ha spinto non solamente la cultura ma persino le dinamiche del potere a interessi di entità biopolitica, in una climax di violenza, dilagante quanto invisibile talvolta, che è divenutail presupposto per una compartimentazione o per una totale sospensione della morale e di conseguenza per una legittimazione della violenza stessa.

 

*      Le immagini, tratte dal Web dietro consenso telefonico dell'autore, raffigurano alcuni dipinti di Gabriele Buratti (Buga) ed esemplificano una parte della sua produzione artistica

**    I testi si riferiscono all'edizione di Pier Luigi Coda, «Martina e l'efferata Banda del Salamino», Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2010.

Commento critico e inserto poetico di Valentina Incardona