“The precariousness of equilibrium”

Biografia

.Massimiliano Antonucci è nato a Taranto il 04/01/1970. A Roma trascorre gli anni universitari e si laurea in Giurisprudenza.

Pubblicazioni
Nel 2002 pubblica la sua prima raccolta poetica dal titolo “Mastini davanti alle porte del Regno” Casa Editrice “L’Autore Firenze Libri”.
Nel 2005 la Casa Editrice “Manni Editori” pubblica la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Non sono versi di Giuda”.

Riconoscimenti
- Si classifica con il libro “Mastini davanti alle porte del Regno” nel 2003 al III posto Premio Fucecchio, Fi.
- Nel 2004 è’ vincitore con la poesia dal titolo “Solo sull’orlo del mondo” del Premio Internazionale di Poesia Lodoletta Pini, sezione speciale, città di Pisa.
- Nel Novembre 2004 è’ vincitore al III posto al Premio Letterario “Orfici”- Città di Ponsacco (PI) con la poesia inedita dal titolo “La nostra storia”.
- Nel febbraio 2005, il Premio Nazionale di Poesia Astrolabio 2004 gli assegna il premio di 1° Finalista - sezione Libro Edito di Poesia - per l’opera “Mastini davanti alle porte del Regno”.
- Nel maggio 2005, il Premio Letterario di poesia e narrativa Fazio degli Uberti gli riconosce il secondo posto per la sezione Poesia.
- nel maggio 2006, il premio Letterario di Poesia e Narrativa Fazio degli Uberti gli riconosce il terzo premio per la sezione Poesia


Commento critico:

La poetica di Massimiliano Antonucci di certo sarebbe piaciuta a Krzysztof Kieslowski; non tanto al Kieslowski della trilogia (Bianco – Rosso – Blu) quanto, piuttosto, al Kieslowski della “Doppia vita di Veronica”. Antonucci vive in parallelo con se stesso, su “precari equilibri” tra le contraddizioni dell’essere e l’immagine che si riflette nello specchio dell’impossibile, del sognato, del (forse) mai stato.
Da qui il contrasto, lo sdoppiamento della personalità, lo sgomento che scaturisce dalla consapevolezza di una realtà diversa, impietosamente costellata di visioni ma sempre controllata anche quando, nella dolenza dell’analisi, si affacciano le interrogazioni sulla ricerca del vero e dell’inevitabile confronto con le “vergognose tracce dell’ipocrisia”.
Il transito del tempo con le sue mutazioni, come rileva anche Marcello Tucci nella prefazione a “Mastini davanti alle porte del Regno” , si trasforma in costante tematica; i grumi del passato si stratificano nell’osservazione pacificante del quotidiano (bella l’immagine della gatta che sonnecchia vicino), il presente/futuro appare infido o, meglio, ambiguo come “il buio reso chiaro dalla notte”.
E dalla contrapposizione tra il consueto e la sua idealizzazione scaturisce l’inevitabile disagio verso una società che declina “menzogne e miasmi” e dalla quale diventa difficile liberarsi se non attraverso puri slanci di rigenerazione poetica.


(Commento di Pier Luigi Coda)

Massimiliano Antonucci non è solo Poeta, è costruttore di Poesia e come tale vive la sua arte con autentica intensità e convinzione.Pubblichiamo su DictaMUndi questo suo contributo che, non credo a caso, viene proposto nel centesimo anniversario del
Manifesto del Futurismo di
Marinetti e che mi ha suggerito questa riflessione introduttiva:

Siamo avvolti di poesia, fasciati nella poesia, senza volerlo. Senza neppure saperlo: quando ci assale un pensiero nel pieno della notte o incrociamo uno sguardo, quando accendiamo il computer, facciamo la fila al check in, oppure quando saliamo sul più alto grattacielo di Shangai o ci mettiamo al volante, quando passa una nuvola, nel mezzo di una sommossa, nel nostro impegno sociale, nell’attesa, nella delusione cocente.
Siamo immersi di poesia, nostro malgrado sempre e ovunque: quando sentiamo il dolore della vacca (Lucrezio), quando dobbiamo partire (Ovidio), quando pronunciamo il nome della rosa (Shakespeare), quando un bimbo lancia al cielo il suo aquilone (Pascoli), quando la domenica ci porta tedio (Leopardi) e amiamo nello stesso tempo in cui odiamo (Catullo), quando l’albatros viene stupidamente ucciso (Coleridge) o ascoltiamo crescere le margherite  (Oscar Wilde), quando il carcere ci toglie il respiro (Gramsci) o rullano i tamburi di guerra (Marinetti), quando veniamo trafitti da un raggio del sole al tramonto (Quasimodo), quando ci complimentiamo con noi stessi (Orazio) o quando la morte ci tende le mani con un certo, dolce sorriso confidente (Corazzini).
Da sempre, dai primordi, in un moto che si perpetua, che si rinnova, come quando si rilancia il gioco in una partita di poker o si è in bilico con se stessi, in equilibrio con il proprio pensiero, il proprio essere in un  gioco di forza e di debolezza, analizzandoci con ferocia come se elaborassimo il piano marketing della nostra esistenza. E tuttavia in questa perenne, affannosa ricerca, ci si ripropone e ci si rinnova come l’Araba fenice, che ogni 500 anni muore bruciando tra profumi di mirra,incenso e cannella per rinascere dalle proprie ceneri più bella e preziosa di prima.
Ecco, credo che il contributo alla ricerca poetica di Massimiliano Antonucci, che volentieri pubblichiamo e proponiamo alla riflessione di tutti gli amici di Dictamundi, debba rintracciarsi in questo percorso di rigenerazione (“E mentre la notte mi invade con una continua richiesta di morte e di rinascita, lo spirito mi viene addosso in una vestaglia di raso rosso e il suo calore è più appagante di mille vittorie”). Non a caso la limpidezza del suo pensiero si ripropone esattamente nell’anniversario dello sconvolgente Manifesto sulla poesia futurista di Filippo Tommaso Marinetti (20 febbraio 2009)con cui, volenti o nolenti, tutta la lirica successiva ha dovuto fare i conti.
Antonucci traccia percorsi, definisce perimetri, stimola riflessioni per coloro che oggi si avventurano nei limacciosi sentieri della poesia; alle soglie del terzo millennio il ruolo del poeta e della poesia deve necessariamente essere rinnovato o reinventato alla luce di una società che si è completamente trasformata e velocizzata, dove i confini si sono abbreviati e la globalizzazione ha sconvolto i rapporti umani e sociali, dove le società e nazioni emergenti rioccupano, finalmente, gli spazi che loro competono.
Ed è anche in questa seconda ottica o chiave di lettura che  credo di poter inquadrare il messaggio di Antonucci, riflettendo sulla storia dei Fenici, di questo popolo di navigatori ed esploratori coraggiosamente proteso all’avventura, e affascinato dall’incredibile, che seppe rivoluzionare le tecniche nautiche indicando percorsi e tracciati di navigazione,(“ Il feniceismo rappresenta un movimento artistico di rottura verso quei comportamenti istintivi che preservano la propria natura dal distruggere le certezze mai discusse, sviluppando nel poeta una ricerca intuitiva che affonda oltre l’assetto consolidato dell’ordine sociale”).
Certo, ogni innovazione comporta un coinvolgimento totale ed esclusivo, un fuoco interiore che arde nelle viscere e sconvolge l’animo per potersi compiutamente affermare nell’espressione lirica del pensiero e della sua generazione” Non abbiamo bisogno di una felicità vuota alla quale tutti possiamo ambire. Abbiamo bisogno di sentire. Di emergere. Per le strade noi vaghiamo oltre l’istinto in situazioni ai limiti della percezione, in luoghi apparentemente sconosciuti dove bruciamo”. In lontananzasembra di sentire riecheggiare il timbro di una poesia di John Wain “Poem Feigned to Have Been Written by an Electronic Brain” (And Now at last I burn with a true heat/ Not shown by Fahrenheit or Centigrade:/ My valves rage hot – look out, here comes the poem!/ Ed ora, infine, brucio di un vero calore/ non misurato in gradi Fahrenheit o Centigradi./ Le mie valvole infuriano infuocate – attento, ecco la poesia”).
Il testo di Wain risale più o meno intorno agli anni ’50, il Manifesto di Antonucci viene proposto a distanza di oltre mezzo secolo;  è ancora il mito dell’Araba Fenice che si rigenera bruciando nelle proprie ceneri tra profumi di mirra, incenso e cannella.
(Pier Luigi Coda)
Per ulteriori info e approfondimenti , consulta il sito www.massimilianoantonucci.it

MANIFESTO DELLA POESIA FENICEA
di Massimiliano Antonucci

“Certi poeti rappresentano la realtà
ma questo lo sanno fare tutti.
L’unica lirica in grado di saziare lo stomaco
zampilla acqua e sangue
come una gallina azzannata da una volpe.
Uno scrittore vero s’infila tra le gambe un pugnale
per segnare un suono ignoto”.

Capita che guardi e veda acqua. Le ombre dell’Arno si muovono dentro di me dove si trova sempre presente una dimensione parallela a quella del vivere giorno per giorno. L’acqua è una forza che mi perseguita e mi spezza la schiena, si nasconde ma alle volte fa di tutto per emergere in maniera prepotente sotto forma artistica: una sorta di ribellione e riscatto, una potenza vitale che mi rende elettrico come una gatta prima di mangiare. Nella sua voce si nasconde rabbiosa una disperazione fatta arte. Altri poeti hanno preferito scorciatoie, mezzucci per allietarsi l’esistenza, ma hanno finito per produrre una falsa forma di bellezza. Se sei poeta non sei facchino o imprenditore, non sei avvocato, impiegato o macellaio. Sei ladro. Un ladro che ruba dissonanze dentro le perfette costruzioni della mente. E mentre la notte mi invade con una continua richiesta di morte e di rinascita, lo spirito mi viene addosso in una vestaglia di raso rosso e il suo calore è più appagante di mille vittorie. Non abbiamo bisogno di una vita cauta ed infelice. Non abbiamo bisogno di una felicità vuota alla quale tutti possiamo ambire. Abbiamo bisogno di sentire. Di emergere. Per le strade noi vaghiamo oltre l’istinto in situazioni ai limiti della percezione, in luoghi apparentemente sconosciuti dove bruciamo, bruciamo sempre insieme a moschee piene d’odio e a cattedrali dorate che inneggiano falsi dogmi. Adesso che stiamo per scrivere l’anima della notte giunge e si mostra subito irrequieta. La notte ci invidia.

Nessuno è in grado di accedere alla propria realtà interiore senza avviare un processo di conoscenza profonda che inizia
quando lo spirito s’impone sulla rozzezza della materia.

La poesia fenicea scaturisce dalla tensione prodotta dall’uomo-poeta che urta la materia e si oppone alla mediocrità
che non vede  prigioni.

Lo sforzo creativo dell'uomo supera tutte le prigioni della mente costruite sotto il comando impietoso della paura
attraverso una differenziazione dell’individuo dallo status quo.

Il feniceismo rappresenta un movimento artistico di rottura verso quei comportamenti istintivi che preservano la propria natura dal distruggere le certezze mai discusse, sviluppando nel poeta una ricerca intuitiva che affonda oltre l’assetto consolidato
dell’ordine sociale.

Gradino dopo gradino il poeta si inoltra al di sotto della soglia del logico per superare gli argini dell’essere statico e le allucinazioni indotte dalla falsità del vivere: egli è nella oscurità, oltre i simboli del giorno, dove è il baratro in cui si trova originario ed intatto
un personale senso di verità.

La sensibilità di questi scrittori della vertigine si muove verso la scaturigine del bene e del male che compare dentro di sé.

Il potere di penetrare tra le ombre dell’esperienza li rende abili a trascendere il visibile; essi stracciano le vesti alla bellezza per imbattersi in quella verità che solamente il corpo ha il potere di raccogliere, nascondendola.

Sudore bile lacrime seme sangue plasmano il suono di un nuovo lirismo che non indietreggia al buio, anzi lo attraversa nel segno
di un linguaggio ruvido e non uniforme.

I poeti fenicei sono deliranti uccelli senza respiro che trapassano le vette del meraviglioso e profanano le profondità del fantastico
per rivelare l’oscenità di una forma di coscienza primordiale.

Tutti  quelli che creano senza sapere il motivo, tutti gli invisibili, gli emarginati e gli inconsapevoli che  vivono l’arte come una possibilità di redenzione, che rimuovono l’illusorietà dalla finzione poetica e non sanno ancora a cosa appartengono, fanno parte di questo movimento e sono detti poeti della fenice.

Il mondo ama l’arte ma odia l’artista che afferma la sua unicità su ogni metodo e tecnica.

Chi non vive la condizione di diversità non può capire la dimensione eroica dell’esistenza che traduce la frantumazione della regola
nella formazione di uno stile che aderisce alla più autentica individualità.

L’artista si denuda senza compiacersi.
Mettere il trucco sopra i volti non è suo affare.

Se sapesse farlo non riuscirebbe ad abbracciare l’Osceno.
L’esercito della scimmia è contro di lui, l’umanità lo ripudia.

 

 

LA SILLOGE

QUALCOSA DI BELLO COME UNA DONNA

Un giorno mi regalai qualcosa di bello come una donna
e adesso che è passato del tempo
la mia gatta dorme se mi sente sereno
oppure sonnecchia vicino a me
quando la sera ho freddo
e ogni fatto lo rileggo
nel buio reso chiaro dalla notte
e dai miei occhi che vedono
oltre il presentabile e il presente
e i sogni che visito
masticano erba
come animali
nell’antro della mia tana-anima.


LA VERGOGNA DEGLI IPOCRITI

Solo nella folla che mi trapassa
dentro l’aria fredda della notte
lascio il mio corpo
contro ogni maledizione
È l’unica cosa da fare o da vivere
quando l’odio e il disprezzo strisciano
per colpire alle spalle
ai luridi miasmi ordino
di andare via dalla mia vita
e con ali di carne e ghiaccio nel sangue
mi libero
sopra una folla che non capisce ma guarda inerme
da preda divento rapace
guardo la vergogna degli ipocriti
e mordo alla gola ogni menzogna.


PELLE

Molte volte
un treno mi porta via
fino alla zona dove
guardo la vergogna che ho subito.
Non sappiamo niente di noi
della nostra paura
che ci vuole simili alla puttana,
sezioniamo il tessuto della nostra pelle
e non ci accorgiamo che
la libertà di agire è figlia dell’amor proprio
crediamo che i nostri equilibri siano saldi
ma sono precari
quando la maschera fissa la paralisi alla nostra anima
le persone non capiscono se non sentono il tamburellare di Psiche nelle notti non ascoltano la voce che grida in silenzio dolcemente mentre tutto si ripete.

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