“La luminosa levità della malinconia”

Biografia:

Loretta Marcon vive a Padova dove si è laureata in pedagogia e filosofia. Nel 2005 ha conseguito il Magistero in Scienze Religiose.
Da quindici anni si dedica con passione alla ricerca e approfondimento del pensiero filosofico di Giacomo Leopardi, in contatto con il Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati e Casa Leopardi.
In occasione del bicentenario Leopardiano (1998) ha collaborato, con il Dipartimento di Italianistica dell'Università di Padova, all'allestimento della Mostra Bibliografica "Leopardi e la cultura veneta". In questa occasione si è dedicata anche alla stesura delle schede del Catalogo riguardanti i testi filosofici "Leopardi e la cultura veneta" (Tip. La Garangola, 1998)
Nel 2006 le viene assegnato, per l'articolo:"Incontro" sul limite: Kant e Leopardi", il Primo premio per la saggistica al Concorso Letterario "G. Leopardi" indetto dal Cenacolo "C. Rebora" di Savigliano (Cuneo).
Nel 2007 ottiene il premio per la critica leopardiana "La ginestra" con il saggio "Giobbe e Leopardi. La notte oscura dell'anima".
Sempre nel 2007 pubblica la raccolta di Poesie "Scheletri di Stelle" Cleup - Padova
Il suo saggio "Qohéle
t e Leopardi" viene premiato al concorso letterario internazionale indetto dall'associazione culturale "Emily Dickinson" per la sezione "saggi editi".
Attualmente Loretta Marcon collabora con il Centro Studi Filosofici di Gallarate
.

Commento critico:

Si “entra” nella poetica di Loretta Marcon con una domanda («Sediamoci vuoi?») che aderisce con precisione ad un dettato lirico di luminosa levità pervasa da una struggente malinconia.
L’invito a varcare la soglia prosegue con un’immagine suggestiva, “in braccio a parole solo nostre…” e, di rimbalzo, il solo sfuma e si dissolve nell’intimo del lettore, trasponendo il particolare nell’universale moto dell’animo in un linguaggio di icastica nervatura espressiva.
I versi di Loretta Marcon evocano un vissuto-specchio che restituisce una figura che attinge dal passato ( “Sensazione che fu”) significanze continue per re-interpretare il presente.
Attenzione però, e qui, si condensa il messaggio forte della poetica dell’autrice: il presente ( il cuore) non si imprigiona in “scatole di latta”  e “la trasparenza dell’anima” è tale non ad altezze vertiginose, ma, “ai lati” della vita, gli anfratti in cui al meglio si coglie l’«arresto» teoreticamente inteso come «eternità».
In questo senso e solo in questo senso poesia e mondo possono giungere a possedere l’ardire della sinonimia, piuttosto che essere realtà antitetiche e incompossibili e Loretta Marcon compie questi passaggi appoggiandoli sopra un persuasivo ritmo melodico, linguistico, “filosofico”.

(Commento di Cristina Raddavero)

 

LA SILLOGE

I

Sediamoci
vuoi?
in braccio
a parole
solo
nostre.

Magìa
ritrovata
nell'ombra
di pietra
già vista
nel sogno.




II

Il piede
ritorna
sull’orma antica.
Insieme al desiderio
cerca
intatta lucida foglia
nel profumo d’un tempo.

Sensazione che fu
passione presente
e solida solitudine.

Compagna
e amica
di attimi
fuggevoli
come soffio di nebbia

passeggera e dolente.




III

Inganno della mente
Errore della memoria
Non v’è ombra alle mie spalle
nessun passo sulla terra
bagnata di pioggia
né respiro leggero e sospeso.

Vaga il pensiero
Insieme alle nuvole nere
corre via
sfugge
all’addensarsi
della ragione.

Varca il limite
al di là del muro
vola alto
dimentico di materia
scruta, cerca…
Approda all’isola.
Illusione.



IV

Troppe volte
derubata
dell’anima
da ladri di tenerezza
fuggitivi.
Borse di dolore
I loro doni
celati dai fiori.

Tutta una vita
di vetro
e  di troppa melanconia.

Incoscienza.

E’ la vita che ruba
il cuore.
Impossibile rinchiuderlo
nella scatola
di latta
insieme alle lacrime
e al crescere
dei ricordi.




V

Eppure cammino
respiro
vivo.

Mai sarò
parte
del marmoreo
universo
di passaggio.

Se debbo tradire
se debbo imprigionare
in
mondana
altezzosità
la trasparenza dell’anima
meglio
confondermi
con i muri
grigiastri
e mediocri
ai lati
della via.

Opere letterarie di Loretta Marcon nel commento di Cristina Raddavero


Loretta Marcon - Giobbe e Leopardi - La notte oscura dell' anima - Guida edizioni

Il libro,  propone, attraverso una lettura puntuale, stimolante, suggestiva, un parallelo tra il poeta recanatese e l'uomo di Uz; un accostamento ricco di spunti molteplici che sanno immediatamente catturare l'attenzione dell'uomo di fede e  non solo; di chi, sostanzialmente, avverta in maniera ineludibile la necessità di porsi la domanda di senso, ovvero interpellare se stesso costringendolo a fare propri i quesiti di fondo dei due protagonisti, l'uno, Giobbe, eroe di un racconto e pertanto testimone della condizione umana in generale; l' altro, Giacomo, persona storica che vive sulla propria pelle la sofferenza fisica e psicologica.
La tematica del dolore diventa il filo conduttore del lavoro, in un'analisi senza precedenti che vuole mettere in luce la comprensione dell'esperienza cristiana del giovane Leopardi che tanto attinse, nella fase giovanile, appunto, alla lettura dei testi sacri con una particolare attenzione al testo di Giobbe; esperienza cristiana nella quale, ad un certo punto, scoppiano le più inquietanti domande a Dio, cariche di dubbio e arditamente scivolanti nella bestemmia.
Alla domanda sul mistero l'uomo, che conoscitivamente analizza, divide, separa, cerca costantemente di incasellare ogni dato, non può rispondere.
Questa la via indicata dal testo preso in considerazione, questa la conclusione " aperta" che incontra il lettore, perché  le domande di Giobbe e quelle di Giacomo restano senza risposta.
Ma, mentre quelle dell'uomo di Uz rimandano, alla fine, ad una fiducia incondizionata, per cui a Giobbe questo è sufficiente, quelle del poeta si caricano di una tensione ulteriore; Giobbe arriverà al traguardo di ciò che Dio, nella sua volontà, gli donerà, cioè l' Incontro, per il poeta quell' Incontro rimarrà problematico.
La parola di Dio resta per Leopardi un sussurro, un qualcosa di lontano.

Ancora un elemento merita di essere evidenziato in tutta la sua carica eversiva, vale a dire la profondissima attualità della tematica presa in esame: se è possibile "abbandonarsi" a Dio ( cosa che riesce perfettamente a Giobbe), è possibile anche "abbandonarlo". L'esperienza religiosa, soprattutto quella contemporanea, tende, infatti, a "liberarsi"da Dio,  ad affrancarsi dal dubbio, a respingere la domanda, a rigettare l'istanza di quell' Assoluto che giocoforza irrompe nell'esistenza di ognuno come " Nostalgia del totalmente Altro" per usare una felice, quanto mai indovinata espressione del filosofo Ernst Bloch.  (Cristina Raddavero)

 

Loretta Marcon -Qohélet e Leopardi, l'infinita vanità del tutto - Guida edizioni

Dopo Giobbe e Leopardi (la notte oscura dell'anima), Loretta Marcon con Qohélet e Leopardi ( l'infinita vanità del tutto), compie il dittico completando un confronto necessario e a tutti gli effetti “imperativo” dal momento che si profila ineliminabile, in una seria critica leopardiana, il riconoscimento della presenza profonda e pervasiva dell'asse biblico-filosofico su cui scorrono, allineandosi, pessimismo-rivolta e nichilismo, Giobbe e Qohélet appunto.
Questo asse incrocia e in-contra l'altro, non meno importante, di Dio stesso (il Dio biblico-cristiano) nel poeta di Recanati.
In questa prospettiva le pagine di Loretta Marcon “vivificano” il messaggio del Poeta troppe volte laicizzato ad oltranza ed essendo vissuto molto più vicino e dolorosamente al cristianesimo del quale aveva perduto la fede teologale, rispetto a tanti credenti della domenica o miscredenti superficiali e sommari.
Il grido di Leopardi :” Oh infinita vanità del vero!” diventa testimonianza autentica del rapporto viscerale e continuo con il sapiente biblico che sancisce “Vanità delle vanità, tutto è vanità!”
Il testo di Loretta Marcon si rivela un autentico spiraglio su una verità troppo spesso diementicata dalla critica ufficiale che tende, inesorabile, a “vestire” un Leopardi materialista, decisamente trascurando l'ispirazione biblica della poesia leopardiana.
Al termine del “percorso” la presenza di Qohélet nei testi leopardiani esce rafforzata così come è innegabile l'accompagnarsi di Giacomo, fin dagli albori dei suoi studi, all'antico sapiente nel quale si sarebbe poi identificato.
Più in generale, l'auspicio dell'autrice quello di proseguire nella ricerca intorno ai temi biblici che permeano il Poeta nella “carne”, attraverso un attento esame alle pagine ingiallite dei tanti tomi polverosi ben allineati nella Biblioteca di casa Leopardi che, muti e al buio da molto tempo e, forse anche per ragioni di comodo, vorrebbero, invece, parlare ai “cercatori” di verità.
(Cristina Raddavero)

Loretta Marcon - "Leopardi in blog; Testi, pretesti, attualizzazzioni in 100 post"
Cleup, Padova

 

Ancora una volta Loretta Marcon fa centro e lo fa con un testo innovativo che profuma d’antico nella misura in cui “antico” diventa sinonimo di un radicamento di concezioni, valutazioni e strumenti moderni che si innestano sulla poetica e sulla “filosofia” del grande Giacomo Leopardi appartenuto all’Ottocento solo cronologicamente e soltanto nella logica della naturale successione temporale dei secoli che sbalza fuori da se stessa nella passione e nell’amore per il Poeta che continua a “dire” alle generazioni che lo avvicinano.
L’autrice crea e cura il giardino virtuale per Giacomo con grazia e maestria ed invita a visitarlo con la predisposizione che possiede chi nutre per il Recanatese un interesse che va oltre la logica, il criterio o il desiderio di sistematicità e rigore alla sua produzione.
Per entrare nel mondo che fu di Giacomo deve scattare “il” sentimento, diversamente ciò che resta tra le mani è unicamente lavoro di testa che, pur necessario e doveroso, isterilisce, dissangua e debilita il messaggio leopardiano o lo imprigiona nella abusata concezione del dolore che tutti, più o meno ricordano di aver appreso nel corso dei loro studi negli anni della scuola dell’obbligo.
No! Leopardi non è questo o, perlomeno non solo questo.
Loretta Marcon percorre una strada diversa e nuova e annulla la distanza che ci separa dal Poeta trasformandola in un “accanto” sorprendente, quello di un Giacomo che coglie, fin dalla più tenera età, il succo del vivere esente da qualsiasi abbozzo di pietismo e commiserazione, piuttosto sprone a guardare in faccia l’Existenza nella veste autentica che gli è propria quella che connota l’uomo come religiosus e philosophicus  con uno slancio mai domo verso l’Infinito e una fondamentale inquietudine che dopo e solo dopo gli permettono di essere anche homo scientificus.
(Cristina Raddavero)

 

 

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