Commento critico:
Strano e curioso, ma la poesia di Tiziana Monari mi ha riportato a costeggiare i profili rocciosi della Bretagna, mi ha sospinto sopra gli innumerevoli “Point de vue”, i visionari punti panoramici che scoscendono a picco e dilatano sulle asperità di oceani azzurri e infiniti. E qui, tra queste insenature dove l’impeto dell’onda s’infrange contro i baluardi dei fari, sulle distese rosseggianti di eriche, sulle rotte di vele spiegate, avventure, battaglie e leggende, è facile incontrare se stessi e misurarsi con la propria storia, il proprio piccolo mondo di memorie, sogni distesi sull’erba, incontri che non sono mai stati.
I “Point de vue” di Tiziana Monari sono la vita che scorre sulla storia; è il sangue che impregna le strade di Badgdad, è “solo il frugare inquieto e confuso/di donne lacere tra le macerie della vita”, è il profumo del gelsomino, il canto dimenticato dell’usignolo (cfr. La polvere di Bagdad). Ma sulle pagine impregnate di sangue e miseria che l’alba del nostro secolo si ostina a raccontare con una violenza che non sembra assopirsi, tra le “imposte azzurre” dell’anima tracimano folate di vita e ricordi antichi dal colore di seppia:”ombre senza più colori/senza più contorni”, ma pur sempre ombre che hanno segnato e scritto e tuttora affiorano nelle “brezze d’estate” suonando “campanelli d’argento”.
In questa sovrapposizione la poetica della Monari si compatta di materia sigillando impatto lirico e pensiero, struttura e linearità di un versificare prosometrico controllato e maturo, senza eccessi, con una impalcatura sostanziale. L’”Io” è sempre lì, sul chi vive, pronto a esondare dagli argini della storia per defluire nell’alveo di immagini e sonorità scandite nei colori del tempo, di profumi raccolti nel vento come i segni accorati del vissuto.
(Commento di Pier Luigi Coda)
Il linguaggio immaginoso ed enigmaticamente suggestivo di Tiziana Monari impiglia l’animo in un frugare inquieto e confuso dal quale scaturisce una melanconia ontologica che si frantuma in polvere, sangue e ferite pulsanti alle tempie di colui che esperisce le macerie della vita.
Si concentrano nei versi di Tiziana colori e toni che forgiano simboli e figure di un periodare calcatamene icastico in un ritmo sostenuto da allusioni frementi ed esclamazioni contraddittoriamente soffocate da se stesse: ancora inverno e sempre inverno nella pallida stagione del silenzio.
Poesia ebbra di quel senso di morte che vi aleggia sopra senza intento alcuno di esorcizzarla, piuttosto giungere a baciarle la bocca per essere ancora e sempre in grado di raccogliere l’anima in un linguaggio che si fa approdo di significati forti all’interno stesso di un impianto che può anche non prevederne: come la vita.
(Commento di Cristina Raddavero)