“La geografia della malinconia”, l’”eterno” nel dettaglio”


Foto: Michele Merello

Biografia:

 

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Docente di Lettere nella Scuola Secondaria, insegna  anche al Centro Internazionale di Studi Italiani dell’Università di Genova, presso il quale è Vicedirettrice per la Didattica oltre a tenere i corsi di Letteratura Italiana Contemporanea nonché di Componimento e Scrittura. Nata a Genova, dove risiede, collabora a riviste e periodici, a livello scientifico e giornalistico, fra cui il “Bacherontius” di Santa Margherita Ligure, cui Direttore Responsabile è il giornalista Marco Delpino, con articoli di cultura e di arte oltre a parlare di tematiche di cultura. Scrittrice e conferenziera, approfondisce  biografie di personaggi storici (ad esempio per la rivista on line  IL TRICOLORE), cura la poesia, la letteratura, la ricerca sugli argomenti più vari; stende prefazioni e organizza presentazioni di libri, partecipa a seminari e convegni. E’ Presidente dell’Istituto Italiano dei Castelli, Sezione Liguria, ONLUS. Ha il piacevole compito di collaborare con l’Associazione culturale LA CORALLINA di Santa Margherita Ligure, il cui governatore è il Dott. Alfredo Bertollo, con conversazioni di storia e letteratura; fa parte del Direttivo della stessa. Ha conseguito il primo premio internazionale Franco Delpino, indetto da Marco Delpino, di Santa Margherita Ligure con la poesia “Un sogno infranto a Natale”, pubblicato nell’antologia : Natale: un cammino di pace. Ulteriori riconoscimenti sono pervenuti per i suoi scritti da parte di ANPAI- BACHERONTIUS. Ha ricoperto innumerevoli incarichi di presidenza per club culturali e di servizio.


 


Commento critico:

Il lirismo vibrato e fiammante di Raffaella Saponaro scorre lungo un impianto cartografico che dà luogo ad una “geografia della malinconia” nella rappresentazione su carta della superficie stessa dell’animo trasfuso nel paesaggio e viceversa.
La finezza di questa poesia consiste nel fatto che l’autrice non forza l’aspetto del paesaggio, non vi introduce elementi stra-ordinari, semplicemente lo immerge nell’estasi che ella ne prova.
L’”eterno” si racchiude e impreziosisce nel dettaglio, in un’armonia di note e tinte, di qualità musicali e figurative (i coppi ocra, i turgidi petali, la rustica tovaglia ecc. ) che serbano in se stesse l’andamento della danza, la soavità di un ritmo che si fa “docile” persino nella descrizione del fugastro  lupo.
Dietro l’apparente casualità delle impressioni, quasi dissociate, ecco bussare alla porta l’elemento emozionale che le ricompone: l’intensità di un legame affettivo, di un ricordo con un luogo che carica ciascun oggetto di un valore inestimabile, di un significato ogni volta nuovo e ri-nascente.
Raffaella Saponaro è figlia della pascoliana poetica della memoria non meno che di quella dell’oggetto che potenzia ogni immagine di un senso ulteriore, uber in tedesco.
Quello che solo l’animo può e sa dare arricchendolo di segrete corrispondenze e ricavandone un tessuto di sensazioni simultanee, di palpiti della coscienza, di un’unità che si intende attraverso il carpire totale e pieno dei sensi, capace di cogliere insieme suoni, colori, odori e di rappresentare questo mondo di sensazioni nella suggestione musicale del linguaggio.

(Commento di Cristina Raddavero)


Transiti e memorie avvolgono l’iter poetico di Raffaella Saponaro con i delicati colori di pensieri custoditi nelle velature dell’animo come uno scrigno protettivo d’armonie e fuggevoli immagini lontane.
Sono attimi catturati dalle coincidenze quotidiane o da percorsi di vita incollati nel tessuto dell’esistenza che sanno riemergere e suggerire al momento giusto squarci ispirati di poesia: un’occhiata furtiva dal finestrino di un treno in corsa, i leoni del museo di Cambridge, gli anfratti boscosi di un fiume.
E qui, tra questi giochi, sempre con misura sussurrata,di parole e pensieri, origina una vaga assonanza di riferimenti letterari che rimandano senz’altro agli spicchi minimalisti della poetica di Giovanni Pascoli, ma, soprattutto, alla musicalità compositiva del verso, alla ricerca lessicale e  alla visione panica di Gabriele D’annunzio, dove l’uomo e la natura si compenetrano vicendevolmente per originare sinfoniche intensità liriche.

(Commento di Pier Luigi Coda)

 

LA SILLOGE

LUNGO LA FERROVIA VERSO OVADA

Lungo binari antichi
di stanca ferrovia,
ridotto è lo spazio
di una casetta
di color paglierino,
ocra i coppi sul tetto,
da vagoni in corsa
sacrificata.

Finestrelle tenere,
del tempo che fu
memori,
a verdi colline,
aria e cielo implorando,
lo sguardo volgono.

Rossi, rosa, screziati un poco,
in vasi di coccio
leggermente incrinati,
rigogliosi geranei,
nei tanti decenni, 
dono unico e raro
dal Ciel ricevuto,
gemme preziose
diventan per l’occhio.

Una mano gentile
sui turgidi petali,
cauta, per non ferirli,
trepida, s’allunga.

Lungo il percorso in treno, verso Ovada, una piccola casa, assai modesta, con minuscole persiane verdi, affacciata sui binari, poteva godere della vista delle verdi colline piemontesi, ma non degli spazi,  sacrificati dal progresso tecnico. Unica preziosità, alcuni geranei in vaso di coccio, ornamento della dimora.

Martedi 6 luglio, 2010

 

DOVE MAI DIPANI, O FIUME…

Dove mai  dipani,
o fiume,
le scarse acque d’estate,
tu,
che nel fitto sconosciuto
d’intricata  boscaglia,
schivo e selvaggio
t’infratti?

Negletto fra lisci ciotoli
e rami ingarbugliati
dispieghi il tuo corso,
in anse sinuose.

A latere sentiero di rovi
guarnito di bacche
che ancor maturate
non sono, compagne
di brune more polpose
da ciuffi minuscoli
di rosei fiori offerte,
al percorso tuo s’uniscono.

Tu,
in un unico afflato,
con i pensieri miei,
in silente accordo,
alla ricerca vai
di agognato ponte,
in risolutivo respiro:
di limpide acque uno slargo.

Osservando il letto del fiume Stura, che scorreva attraverso il folto della vegetazione in un mattino d’estate, le sue anse fra i cespugli ingarbugliati hanno ricordato all’Autrice i suoi pensieri tanto simili all’intrico dei rami che ne accompagnavano il corso: entrambi, il corso d’acqua e l’Autrice stessa, sembravano, in un unico afflato, individuare un ponte per oltrepassarlo, trovando uno spazio benevolo alle  rispettive difficoltà.

Dal treno verso Ovada, martedì 6 luglio 2010

IL LUPO

Solitario,
dei boschi nel folto,
circospetto, in perlustrazione
s’addentra;
ad ogni fruscìo
s’adombra.
Dell’uomo
la fredda ferocia
paventa,
guardingo fra le zampe
la coda atteggiando (1).
Isolato
dal resto del mondo,
fugastro (2) s’aggira,
diffidente lo sguardo,
disinserito si sente;
con il branco dei simili
raminga vita conduce. (3)
Del predatore,
per aggressione rapace,
imprevista,
ogni domestico esemplare,
indifeso, s’angoscia. (4)
Secolare frattura fra essi;
ma l’animale selvatico,
asociale, scontroso,
l’occhio punta,
con sospetto, guardingo.
Ora rabbia ora pena
struggente
esso provoca,
in un ululato notturno
accorato prorompendo,
dall’universo avulso.
Il lupo.

(1) Il verbo atteggiare, in questo caso, è usato come disposizione di una parte del corpo, ad indicare una condizione di disagio. Infatti il lupo teme la presenza dell’uomo e, in questo modo, abbassando la coda, esprime dubbi e timori.
(2)Fugastro sta per l’aggettivo fuggitivo. Voce ascoltata in Toscana, nell’uso orale, indica una fuga scontrosa, con toni di ombrosità; selvatico, sfuggente.
(3) Il lupo è un animale solitario e non socializza con l’essere umano, di solito.
Conduce una vita di branco, obbedendo ad un capo riconosciuto dagli altri componenti del gruppo.
(4) Sia chi vive in zone boschive, sia le mandrie o le greggi temono le repentine incursione del lupo, che si aggira in cerca di cibo quando ha fame.

Torriglia, 10 maggio 2010.

CAMBRIDGE…RICORDI

Cambridge:
a mo’ di caleidoscopio,
fioriti giardini,
in momenti sporadici
dal sole illuminati,
dopo improvvise piogge,
esplodono.

Corolle dischiuse appena,
sotto chiari riverberi
a Cambridge serena
storie sussurrano,
tra  aiuole odorose;
fonte d’amore ne è la cura.
Il salice, pazientemente,
tace.

Ai giovani,
i leoni in coppia
per l’ eternità scolpiti,
del Fitzwilliam Museum (1)
sulla massiccia porta,
il benvenuto a porgere,
come essi fare sanno,
le fauci esibiscono,
spalancate.

Precipitoso l’ombrello
s’apre;
gocce sottili sul Cam,
dal blando corso,
abbattonsi.
Sulle sponde accoglienti
il manto erboso
numerosi segreti sottace.

Tenui raggi
fra le nuvole in cielo
di nuovo s’infiltano;
Dei Sospiri il Ponte, (2)
di Venezia èmulo,
(in memoria di Repubblica Grande
per antica Storia), (3)
due rive congiunge.

Di ragazzi e famiglie
e animali
al rinnovellato tepore,
insolito dono,
subitaneo è il ritorno
del fiume
all’amichevole corrente,
…dolce abbandono
d’un fuggente attimo.
Entro staccionate
cavalli dal lucido manto
l’erba pacifici brucano.
Concentrati i giovani,
su Sons and lovers (4)
chine le pupille,
sull’onda dei Beatlles
il futuro sognano.
Oasi indimenticabile
di felicità pura.
Cambridge, mia cara.

 

(1) Il riferimento è rivolto ai leoni di marmo del famoso Museo di Cambridge, dove i giovani d’ogni nazione degli anni settanta talvolta sostavano, fra una lezione ed una capatina in luoghi piacevoli ed interessanti, tipici del mondo anglosassone. Struttura di gusto neoclassico, il Fitzwilliam Museum contiene importanti raccolte storico artistiche, la maggior parte delle quali è stata donata dal VII Visconte dal quale ha preso il nome, Fitzwilliam. E’ stato progettato dall’architetto George Basevi (1794-1845), nato a Londra.
(2) Il Ponte dei Sospiri (Bridge of sights), così soprannominato in onore o per somiglianza con quello veneziano, è una gradevole struttura sul fiume, sotto il quale transitano slanciate barche guidate da giovani. In realtà il Ponte sopra citato, sotto il quale si snoda il fiume Cam, è simile, ma non uguale, sebbene sia dotato di una sua aggraziata suggestione.
(3) La Repubblica Grande (dalla grande storia) è  Venezia
(4) Sons and lovers (Figli e amanti,1913) è un famosissimo, pregevole romanzo dell’autore D.H. Lawrence. Nato a Eastwood (Nottinghamshire), nel 1885, figlio di un minatore e di una insegnante, studiò a Nottingham.  Egli creò un genere di romanzo nuovo anche dal punto di vista espositivo oltre che contenutistico.

A SAN SIRO DI STRUPPA, UNA SERA D’ESTATE

Al campanile,
nello stile romanico
costrutto,
come corteggio frondoso
d’intorno stanno,
cavalieri antichi,
belli e immoti,
dalla verde corazza
protetti,
nell’estiva calura,
gli alberi odorosi.

Ingenui fiori,
su vetusto balcone,
ordinato e lindo,
al vespero,
il benvenuto agli avventori
porgono.

Allegra,
la rustica tovaglia
dei remoti dì
il racconto bisbiglia
ai commensali di oggi,
amici fra loro,
paghi
di conversare:
lieti dell’ora, del poi
e…un tantino di ieri.

San Siro di Struppa è una chiesa, in Genova, in uno stile romanico puro, dall’architettura lineare e bellissima. Circondata da verdeggianti monti, là dove la mano dell’uomo non è intervenuta nell’ambiente, fra abitazioni linde e pulite, vi è una piacevole locanda d’antico costume: simbolo, per l’Autrice, di una conversazione amicale, benevola e di sentimenti non inquinati da alcun tipo di venalità.

Genova, 23 luglio 2010

 

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