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La ricerca della dimensione infinita

Biografia:

Fabio Strinati (poeta, scrittore, aforista, pianista e compositore ) nasce a San Severino Marche il 19/01/1983 e vive ad Esanatoglia, un paesino della provincia di Macerata nelle Marche. Molto importante per la sua formazione, l'incontro con il pianista Fabrizio Ottaviucci. Ottaviucci è conosciuto soprattutto per la sua attività di interprete della musica contemporanea, per le sue prestigiose e durature collaborazioni con maestri del calibro di Markus Stockhausen e Stefano Scodanibbio, per le sue interpretazioni di Scelsi, Stockhausen, Cage, Riley e molti altri ancora. Partecipa a diverse edizioni di  "Itinerari D'Ascolto",   manifestazione di musica contemporanea organizzata da Fabrizio Ottaviucci, come interprete e compositore, e prende parte a numerosi festival e manifestazioni musicali.
Fabio Strinati inizia nel 2014 a dedicarsi anche alla scrittura, e in maniera continuativa. Nell'ottobre del 2014 pubblica il suo primo libro di poesie dal titolo " Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo". Raccolta di poesie pubblicata con la Casa Editrice ed Associazione Culturale Il Foglio Letterario, che ha, come suo direttore, lo scrittore italiano Gordiano Lupi.
Nel mese di novembre del 2015, esce il suo secondo libro di poesia, dal titolo “ Un’allodola ai bordi del pozzo”.
Nel novembre del 2016 esce il suo terzo libro, “Dal prorpio nido alla vita”. Un poemetto ispirato a un romanzo di Gordiano Lupi, “Miracolo a Piombino”.
Nel 2017 pubblica due libri: “ Al di sopra di un uomo “, “ Periodo di transizione “

Contatta Fabio Strinati

Commento critico:

Noi sogniamo di viaggi per l'universo:
ma l'universo non è forse dentro di noi?
Noi non conosciamo gli abissi del nostro spirito.
La via segreta che conduce all'interno.
In noi, e in nessun altro luogo,
sta l'eternità con i suoi mondi, il passato e il futuro.
Il mondo esterno è il mondo delle ombre,
e getta le sue ombre nel regno della luce.
Novalis

Con questi bellissimi versi di Novalis ho percorso la lettura della silloge di Strinati. Poesie sempre in bilico tra attimi di costernato sgomento e illuminanti rapidità, tra natura e essere in un gioco che affonda le sue radici nell’osservazione della realtà contemporanea. Delle sue storture, delle anomalie periferiche dove gatti randagi si aggirano tra “macerie appestate di enzimi e batteri”. Il mondo delle ombre di Novalis, le asciutte immagini dei quartieri degradati di Ken Loach, come il ritrovarsi catapultati dentro uno specchio che deforma il sentimento estetico del vivere. Il mondo esterno che getta le sue ombre nel regno della luce. Quelle di Strinati sono liriche di immediata percezione sensoriale, sgocciolano nel profondo dell’intimo lacerando la coscienza dell’uomo moderno solo con se stesso “nella vastità d’un cielo liturgico e moroso”. In questo desolato (desolante?) contesto scenografico nascono folgorazioni quasi surreali innervate dentro algoritmi lessicali che squarciano la filigrana del pensiero poetico e che rimandano inevitabilmente alla ricerca della dimensione infinita che Lucio Fontana scopriva con i suoi  Concetti Spaziali.  Ma qui non c’è il sollievo della sperimentazione, direi piuttosto, una impietosa analisi sociologica espressa in forma lirica dove anche le parole sono “rimproveri fuori controllo come tagli ricuciti nel vento”. Strutturalmente Fabio Strinati lavora il verso con grovigli d’immagini in un susseguirsi, quasi filmico, di frammenti ipometri giocati in libertà che incidono nella lettura suscitando scorci emozionali e visivi di non comune concretezza lirica.
(Commento di Pier Luigi Coda)

All’ape che ninnola il poeta fa dire più di quanto non abbia coscienza di esprimere “impollinando” un tessuto vitale i cui simboli  sprigionano nella Natura di cui l’uomo è parte dolosamente sofferente.
I versi assurgono a registrazioni di canti nella ricerca di un ritmo a metà tra la “cronaca” (Briciole di pane ad una ad una, cadono/ nel bidone metallico vicino al palo della luce) e il lirismo addensato nell’aggettivazione tendente a creare una particolare fusione di elementi pittorici e musicali: …le scatolette rotte e le lische di pesce/fracassate ai margini dei marciapiedi ben rappresentano il bozzetto che coglie in un attimo la “bellezza” devastante e l’espressività della parola intesa nel suo valore fonico. Lo stesso stridore montaliano dei cocci di bottiglia nel Mezzo sole di Strinati si abbandona ad uno stile che rotolando su stesso, si arricchisce via via di colori e toni, simboli e figure calcolatamente icastiche.
Si noti poi come la presenza umana sia pressoché taciuta, vagamente carezzata in Vessillo e in La penna (e i cirri a pacchi dentro le zucche degli uomini)  e quanto la volontà di Strinati transiti per un tratteggio della poesia quale varco di luce per i non vedenti…se proprio si nomina l’uomo lo si fa nell’atmosfera evocativa di immagini che piombano direttamente sulla sensibilità del singolo lettore suggerendo un mondo di visioni liberamente interpretate e interpretabili.
Il gioco lirico costantemente aperto  culmina in Comparse nell’accostamento delle varie specie viventi in cui il momento emotivo è serbato senza cedimento tra i rotondi pesci e quelli ovali e il suggestivo “panico” finale nella partita che pareggia la sostanza e il ritmo tra il pesce elettrico  e il pino marittimo.
In questo spazio si muovono le motivazioni di Strinati sempre ammesso che possa reperirsi tra le righe della sua poetica una causa che non sia essa stessa poetica.
(Commento di Cristina Raddavero)

LA SILLOGE

"GUIZZO"

Sopra quel tenero fiore è spiaccicata l’ape tenera
che impollina l’attimo e fugge e sfugge al via di refoli,
che guarda in basso e ninnola,

 e nidifica...

 sopra quel ciuffo d’erba un eco immobile
è suono che basico di se stesso
oltre i cieli che sopra e al di sopra muoiono,
le api le più sveglie, il guizzo sulla foglia di brina!

 

“IL RAGNO”

All’angolo un ragno piccolo è la forma della tela
che ingromma e scende, come tale
alla penombra,

 che muore e mai però si scade!

 Eccolo quel ragno fino
che scimmiotta, non corre e non cade,

 e mai che si deforma
al foro quel puntino,

    
le chiazze rade.
 
 

“COMPARSE”

I rotondi pesci e quelli ovali, di pesci ammollo
nella vastità d’un cielo liturgico e moroso,
nuotano attorno alle vasche coi confini tratteggiati
i pesci gli ubriachi echi, i pesci castigati
da una non forma agli occhi dell’umanoide,
virano accatastati ognuno...., nel cerchio e nella ruota,

 il pesce elettrico, il pino marittimo.

 

“VESSILLO”

Come s’accanisce questa frescura che non è bonaria né acconsente...
le vite rimaste ad appassire sui prati incustoditi,
le vite che tremano appese ai fili,
come s’accanisce e quanti raggiri, la solitudine precisa
che t’offre la sua scelta inequivocabile!

 

"MEZZO SOLE"

Gocciola e gocciola, l’acqua che tintinna e ciondola,
l’acqua che muore a terra e scava e scava la sua fossa
per innaffiare la radice vecchia, nella senilità
che la ricorda...

è l’acqua che scorre che fluisce che organizza,
la sua vita rapida e con spocchio nobile
bagna e si bagna e imprime, l’umido racconto
di una prosa evacuata con gli spurghi
d’acqua e d’acquazzoni,


 come quei tubi e quegli scoli pieni pieni
che suonano la tromba d’ottone,

 e uno spiraglio flebile, di quel moncone
tra le nubi asserragliate.

"LA PENNA"

Ventagli di nuvole e scorribande di pensieri già usati
nel mio essere morto e usato,

e le poesie, forme viventi per non vedenti
che si accartocciano s’aggrinzano e precludono percorsi
della penna anchilosata, di errori vaganti
di schizzi di pallottole scabre...

e i cirri a pacchi dentro le zucche degli uomini
come le nubi oriunde e le tende capovolte.

 

"LAME"

Le parole di precisione come rimproveri fuori controllo
 nel vento vengono ricuciti,
 i tagli.

 

"PIANETA 2"


Briciole di pane ad una ad una, cadono
nel bidone metallico vicino al palo della luce,

e un micio che stride con il venticello
nel quartiere appestato dagli enzimi e dai batteri

come le scatolette rotte e le lische di pesce
fracassate ai margini dei marciapiedi

rialzati dalle radici menagrame,

nel contesto di una non libertà di degrado
e assegni familiari umidi nel lavatoio
nelle sacche di periferie sozze e fatiscenti.