Viviana Albanese: «Le nove fasi» - Puntoacapo Editore - Novi Ligure
Durante la lettura dell’ultimo libro di Viviana Albanense “Le nove fasi” non ho potuto fare a meno di ripensare alle parole con cui Seneca si rivolge a Lucilio, se non sbaglio, nella 28a lettera: “Credi che questo sia capitato a te solo e consideri con meraviglia il fatto che dopo un viaggio così lungo e con tante varietà di luoghi non hai scosso via la tristezza e la pesantezza della mente? Devi cambiare animo, non clima.” E un po’ più avanti, citando Socrate: “perché ti stupisci che i viaggi non ti giovino per nulla, visto che porti in giro te stesso? Ti incalza lo stesso motivo che ti ha spinto lontano.” Ma se rientrando a casa scopri tuo marito a letto con tua sorella, che fai? Affili la spada come Gianciotto Malatesta e infilzi quei due sciagurati? Oppure richiudi la porta e chiedi garbatamente scusa andando in cucina a preparare due tazzine di caffè per rinfrancarli dalle fatiche d’amore? È evidente che t’incazzi come una iena; urli, strepiti, li maledici e li cacci di casa come topacci di fogna. E di che cosa ti puoi accusare se i due fedifraghi nella fuga dal loro tradimento hanno un incidente di macchina e tua sorella ci lascia la pelle mentre tuo marito si fracassa per sempre le ossa, ma riesce a sopravvivere? Allora tu che cosa fai? Fuggi via, prendi il primo aereo e scappi a Parigi, poi ne prendi un altro e scappi a Nizza. Risolvi? Ti riconcili con te stessa se proprio a Parigi e a Nizza ogni piazza, ogni angolo di strada, ogni bar ti ricordano i luoghi, i giorni felici trascorsi con tuo marito, quando i tuoi sogni erano ancora intatti? Certo a Nizza e a Saint Paul de Vence la luce del Mediterraneo ristora, non a caso in quella luminosità due russi, anche loro scappati da casa, Marc Chagall e Chaïm Soutine, di quella stessa luce hanno impregnato i loro colori e le loro visioni ingigantendo la storia della pittura. Però a Nizza ti può capitare un incontro casuale, un episodio inatteso, ti lasci trascinare e coinvolgere; è una ubriacatura dell’animo, un vortice che ti trascina tuo malgrado; un’ebbrezza che non riesci neppure tu a scoprire se consola o sprofonda. Come i forzati di Fëdor Dostoevskij che lavorano per mesi e mesi dannandosi e risparmiando ogni copeca per poter acquistare una bottiglia di vodka e scolarsela a canna in un giorno di festa, fino a sbronzarsi da crollare per terra. Che importa se domani si ricomincia a spaccare pietre e a subire frustate sulla schiena; nulla è cambiato, ma per un attimo si è respirato dentro un effimero orizzonte di vita. No, forse è meglio tornare a casa; come dice Seneca, avere il coraggio di cambiare animo e non il clima. Certo, le tessere del Lego con cui hai costruito il tuo castello fatto di sogni è crollato, intorno a te restano solo macerie e la società che ti circonda non ha misericordia, parla d’amore ma non conosce l’amore; occorre uno sforzo immenso per raccogliere i resti e cercare di costruire, non certo più un castello, ma solo una modesta casetta di campagna dove rifugiare le fatiche del giorno. Jannis Kounellis1 ha illustrato con intuizione geniale questo percorso; dentro un perimetro rettangolare di alcuni metri quadrati ha stipato centinaia di scarpe di ogni tipo: da uomo, da donna, da bambino, consunte, impolverate, scalcagnate, da ballo, mocassini, scarponi, tomaie sbiellate, senza più suola, rifiutate, gettate nell’immondizia. È la piazza, la folla che corre sui metrò, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, siamo noi che viaggiamo ovunque, scappiamo, cerchiamo e poi… Poi l’immagine successiva è una stanza dalle pareti bianche, spoglia; c’è solo un attaccapanni in un angolo con appesi un cappello nero e un soprabito nero; il viaggio è finito il soprabito e il cappello sono sdruciti e consunti, portano il segno della fatica, ma l’atmosfera della stanza è rappacificante; si può finalmente riposare. Tutto questo si ritrova nel racconto di Viviana Albanese. Una prosa agile e immediata che coglie le problematiche di una società desertificata e confusa, dove la modernità si muove con sconcertante frenesia nella ricerca di un approdo non voluto ma costruito dalle circostanze della casualità. Un tradimento, una fuga, un ritorno. Nella circolarità del perimetro narrativo ancora una volta la protagonista è una donna, fragile e sola che confronta/affronta la propria femminilità con il coraggio di attraversare, con una sorta di spavalderia adolescenziale, le proprie ferite e il silenzio della folla indossando un cappello di paglia e gli occhiali con le lenti scure. Il vero viaggio è quello della consapevolezza dell’io e del vivere il domani senza fuggire a Parigi o a Nizza ma percorrendo le nove fasi della rigenerazione: shock emotivo, negazione, rabbia, paura-depressione, tristezza, accettazione, perdono, ricerca del significato, serenità e, finalmente, pace ritrovata. Un bel racconto, incisivo e moderno; uno spaccato sulla crisi di coppia analizzato con misura descrittiva e tratteggio convincente dei protagonisti. Molti lettori, soprattutto quaranta/cinquantenni, si specchieranno nelle pagine del libro. Forse con un po’ di amarezza; forse con un briciolo di fiducia. 1) Jannis Kounellis è stato un pittore e scultore greco naturalizzato italiano. Con Mario Merz, Boetti e Pistoletto è stato tra i fondatori della così detta arte povera. Grazie alla sua ingegnosa creatività ha conseguito una consolidata notorietà nel panorama artistico internazionale. (Commento di Pier Luigi Coda)
Viviana Albanese: "Professione pendolare" - Puntoacapo Editore - Novi Ligure Finalmente, al termine di una settimana convulsa, al sabato ci si sveglia presto di mattina e si fa Jogging. La prima parte del percorso è in salita, si fatica e si suda ma si affronta di passo spedito e, tutto sommato, leggero. Quando si scollina l’erta il percorso diventa più dolce e pianeggiante, lo si conosce così bene che lo si può affrontare a occhi chiusi. Certo c’è il rischio di inciampare in un avvallamento o precipitare in un dirupo, l’insidia è sempre in agguato ma la si accetta; fa parte del gioco. Dopo l’erta della giovinezza con le sue fatiche e i suoi dolori ma anche con le sue speranze, si scollina il pianoro della quarantina, allora sembra che nelle vene pulsino solo le scorie e le amarezze del passato, che lo sguardo si annebbi e gli orizzonti della vita non siano altro che l’oscurità di un rassegnato, neppure troppo arrabbiato, tran tran quotidiano. Si corre sempre, ma ad occhi chiusi col navigatore automatico, senza vita ma guardandosi vivere. Senza avere neanche l’energia per compiangersi o alzare i pugni verso il cielo. Una mattina entri in ufficio e trovi la tua scrivania completamente svuotata: il ripiano senza agenda e matite, i cassetti ripuliti per bene e sopra la tua sedia uno scatolone dove sono riposti i tuoi effetti personali e la lettera di licenziamento. Ma l’impulso non è quello di rovesciare l’ufficio e sbattere ogni cosa all’aria, la reazione è pacata, forse stupita, ma anzi rassegnata. Nella precarietà della vita il precario è necessario per sopravvivere, quando genera sconforto e dolore si stappa una bottiglia di whiskey (1) distillato in Irlanda. Domani sarà certamente un altro giorno o, forse, sempre lo stesso che s’incolla uguale sopra le spalle. Nell’ultimo racconto di Viviana Albanese (Professione Pendolare ed. Puntoacapo) si sente certamente l’eco di una letteratura anglosassone che osserva senza concessioni sentimentali lo spaccato di una società ostica e spesso indifferente dove ciascuno si misura e si confronta con se stesso e le proprie ineluttabili sconfitte. Penso a Sillitoe, penso a Fitzgerald a Miller, non a caso nel testo è citata Sylvia Plath che nella sublimità della sua poesia contempla la sublimità dei suoi fallimenti. Se il sabato è la giornata dello jogging, i restanti giorni lavorativi della settimana si trascinano nell’insegna di una faticosa, direi meglio, fastidiosa ossessiva routine: sveglia sulle note de The Importance of being idle di Noel Gallagher (2), che è già tutto un programma, e sullo slogan di un altrettanto programmatico: forza e coraggio. Tutto il resto è definito da circostanze subite come un ineluttabile castigo esistenziale. Corsa per raggiungere la stazione e aspettare il treno dei pendolari: avanti e indietro, su e giù con lo sguardo sempre sull’orologio: sarà in orario?, darà la precedenza alle Freccerosse?, e la coincidenza? Timbreremo il cartellino in tempo? E la pausa caffè? Il contorno è subìto; i compagni di viaggio, (di viaggio o di sventura?), scelti da un comune destino che obbliga a condividere un percorso obbligato; la frequentazione giornaliera ricuce i rapporti ma non gli affetti: c’è la fobica dell’igiene, la patita dei profumi e dei belletti, il dongiovanni della valle. Mentre risuona lo sferragliare delle carrozze sui binari, si scherza, si scoprono i tic, le manie, nasce anche una sorta di scanzonata complicità e ci si affibbia nomignoli di sopravissuta goliardia: Amuchina, MaxFactor, Casanova… Certamente Il panorama sociale è quello di una media borghesia laureata o diplomata: un lavoro, una carriera, insomma un certo establishment conquistato con fatica durante l’erta della giovinezza. Adesso, scollinata l’erta, il percorso si fa leggero e pianeggiante, ma il paesaggio circostante è arido; ci si è, come dire, prosciugati e ci si ritrova ripiegati nella propria solitudine di single, senza affetti, senza rifermenti sicuri. Le famiglie sono disgregate, vissute più con angoscia che come accogliente e consolante rifugio; gli affetti sono effimeri, passeggeri, si sta insieme per fuggire dalla propria solitudine e non per amore. E non basta bere una bottiglia di whiskey o di birra per sentire il calore dell’affetto sotto le lenzuola di una notte di stordimento. Il presente incespica, il futuro non ha avvenire e, ammesso che lo abbia, è offuscato dalla nebbiosa precarietà dell’esistenza dove si avanza a tentoni nel buio cercando di non cascare nel dirupo. Sopravvivono solo le macerie del passato; quelle hanno radici forti e non affondano solo nel terreno della memoria, hanno sempre vitalità e linfa, riaffiorano in continuazione e in continuazione apportano nuove ferite, dolori che ancora non si conoscevano e che mettono in discussione anche l’illusione di una realtà che non era mai esistita. Forse non basta neppure farsi tatuare le braccia per nascondere le cicatrici della lametta da barba (Gillette? Come il nickname affibbiato?) e forse non basta neppure sperare che l’unione casuale di Cali e di Ema, i due protagonisti del racconto, possa costruire un solido castello di sogni dove infilarci le proprie solitudini. Però ci si prova e, chi sa che, qui, in questa decisione conclusiva, non nasca un briciolo di speranza. (Pier Luigi Coda) (1) A differenza del whisky distillato in Scozia, il whiskey viene solitamente distillato in Irlanda (2) L’importanza d’essere pigro; parole di Noel Gallagher, cantautore e chitarrista inglese, componente del complesso Oasis
Succede che se a distanza di qualche “Mercoledì”, si entra nelle settimane scandite dal ritmo monotono di una professione particolare come quella del pendolare , pass per svolgerne altre, si sale sul treno del vivere popolato di volti, tanti volti, non fosse che per la ragione di essere isola cui momentaneamente sostare dentro giornate infinite lontano dalla propria Itaca raggiunta solo a tarda sera, dipinta coi colori delle stagioni e quelli non meno vividi della vicenda personale di Cali, protagonista del nuovo romanzo di Viviana Albanese. Cali. Sono molto rare le occasioni di leggere il nome completo nel corso della narrazione tanto che, subito, si fatica persino un po’ a ricostruirlo questo nome desueto. Forse a significare la “scomposizione della vita” cui fa riferimento Pirandello in Uno, Nessuno, Centomila. Certo è che l’autoconsapevolezza di Calista traghetta nella stessa narrazione autodiegetica dal momento che è la stessa protagonista a raccontare la sua esperienza attraverso una distanza narrativa mimetica spesso rivolgendosi direttamente al lettore come stesse col medesimo conversando . La struttura sintattica predilige un lessico quotidiano già incontrato in Mercoledì e che ne garantisce la scorrevolezza pur toccando tematiche impegnative e sofferte. La forte inclinazione al monologo si interseca perfettamente alla parte dialogata ove spesso le parole sanno esprimersi in un silenzio spesso immaginato, tenacemente voluto pur nell’andirivieni di un confronto a due (il rapporto con Emanuele), a tre (di Calista con le sorelle), a quattro (di Calista con madre e sorelle), di nuovo a due (di Calista e la sua capa), a largo raggio (di Calista e della compagnia di brigata sul treno). E proprio lungo i binari sfreccia l’uomo pirandelliano, l’antieroe romantico, totalmente privo di certezze colui che identifica piuttosto la certezza con e dentro un rito (squisitamente pirandelliano il ritratto di Amuchina, una pendolare ossessionata dai germi e dalle malattie solo per citare un esempio).In tal senso, Albanese inserisce la vena umoristica nel suo romanzo sapendo regalare autentici momenti di distensione all’interno di una storia complessa le cui tematiche si danno appuntamento nella crisi di identità e dei molteplici e problematici aspetti che tante volte appaiono lontani da noi mentre , in realtà, ci abitano accanto con forti declinazioni (autolesionismo, malattia mentale, disturbi del comportamento) che l’autrice ha saputo mettere sulle pagine con la delicatezza di un bocciolo di rosa.
Viviana Albanese: «Mercoledì» - Puntoacapo Editore - Novi Ligure
Non c’ è un ritmo “febbrile” in Mercoledì di Viviana Albanese e già il titolo stesso sembra porsi a mò di diapason tra le pagine, per scoprire come l’autrice confezioni una storia calibrata tra luoghi e personaggi, il vero binomio di questo romanzo. |