Pier Luigi Coda: “La diagonale stretta” - Effatà Editrice, Catalupa Torino, 2012.

 

L’età più “bella” è così fragile da serbare in questa complessità il segreto di ogni  futuro possibile…
Pierre ha un sogno, e tu, giovane lettore, ne hai?
Ti sfiora il tremore che non se ne avveri neppure uno?
Hai la forza necessaria per credere di farcela?
Bene, allora sei pronto ad aprire queste pagine ed entrare nel mondo di Pierre.

 

Ma un libro poi, finisce davvero? Una storia si esaurisce davvero? E ancora, non è che, per caso, ti ritrovi “grande” già da ragazzino? Cos’è un confine? E un fiume? E un lago? La vita? Una partita giocata dal protagonista con il pieno controllo e la regia sovrana della tecnica o una serie di passaggi nei quali oltre  regole e schemi entrano in gioco i fattori del cuore? Cosa avrà fatto cantare a Branduardi:« per ogni geometria ci vuol fantasia…»?
E il cuore cos’è? Un muscolo da allenare come bicipiti, tricipiti, femorali, quadricipiti e glutei o un pulsante dell’anima rosso sangue che traccia misticamente le coordinate insondabili del nostro essere proprio nel momento in cui di anima si incontra quella gemella e nello spazio di un secondo si pigia intuendo di aver sbagliato il tempo e il tasto (ma, d’altronde l’unico) proprio perché, invece, era quello giusto?
E la famiglia cos’è? Un caldo nido di rovi? Una lavatrice senza opzione per il programma dei “delicati” in grado di centrifugare in ottocento giri al minuto calzini, mutande e magliette insieme a chi le indossa lasciando pieghe impossibili da spianare?
L’amicizia? Beh, l’amicizia può essere tante cose e nessuna: quella fasulla che si lascia con un rimpianto tale da dissolversi in lontananza e indifferenza e quella vera: gioco di squadra in cui si fatica ad entrare ( in sintonia ) proprio perché in nuce se ne avverte il fondamento autentico; intesa a pelle che nasce e cresce sopra nove metri di campo, dentro le mura di un bar, tra una bravata notturna e una “prima volta”, su una panchina indigesta e “scomoda”…molto indigesta e molto “scomoda”.
E Pierre?
Chi è Pierre? Io, tu, loro, noi?
Pierre non viene descritto se non attraverso un autoritratto tutto interiore. Di lui si intuisce solo che non è molto alto. E’ presenza silenziosa e irruenta, raccolta e fragorosa, laconica e verbosa, telegrafica e prolissa. Pierluigi Coda è così bravo da lasciare decidere il lettore.
Di che colore sono i suoi occhi? E i suoi capelli? Sono lisci o ricci, la sua pelle ambrata o diafana?
La sua voce? Le sue mani? E come cammina Pierre? Come impugna il suo borsone da pallavolo e la sua Samsonite? E come respira Pierre?
Quanti anni ha Pierre? Ha davvero importanza? 14, 15, 17, quaranta, sessanta?
E il tempo? Di che sostanza è il tempo? Come si comporta il “tempo”? Gira lento? Veloce? Alle volte proprio, non gira! Si dilata, si accorcia, si espande, si restringe, è melmoso come l’acqua del Tamigi, muto come quella del lago Lemano?
Chiacchierone come il Mare Nostrum?
E i pensieri di Pierre? Le congetture? Le ipotesi? I suoi sogni? I suoi desideri?
E la palla? Fa male la palla, oh se fa male! Alle volte sembra di riceverla in faccia, dura, improvvisa, come quelle botte che ti sfigurano il viso. Il volto allora si contare in una smorfia di dolore, si gonfia e viene anche da piangere e le lacrime salgono e tracimano su un prato mentre il signor ematoma ci prende gusto; la forza vulnerante del trauma si diverte un mondo ed è un’esplosione di colori: rosso rubino, blu, viola, verde, giallo fino alla risoluzione spontanea.
Ma l’anima guarisce? Forse sì, forse no. No, l’anima no! E qui sta la sua grandezza.
L’anima di secondo nome fa aporia, passaggio impraticabile, strada senza uscita e sennò che anima sarebbe? E’ scaltra l’anima, non ti permette di dare una risposta precisa ad un problema, non c’è schema, ragionamento che tenga; le soluzioni che offre, per quanto opposte, sembrano essere sempre apparentemente valide.
Di cognome fa attimo quello bellissimo di Goethe e ha una temperatura elevata; ha sempre la febbre l’anima ed è emofiliaca: il suo sangue non si coagula, il suo sacrificio scorre perenne. Sarà ancora per caso che l’autore scompigli e sconvolga con il suo riferimento all’Agnello mistico dei van Eyck?
Pierre il polittico se lo è buttato dentro agli occhi per non guarire, per non anchilosare la sua schiena acerba e verde e farne preda dell’artrite deformante che gli impedirebbe qualunque moto del cuore.
Ma che ci fa l’Agnello mistico dentro a un libro per ragazzi?
E che spazio può okkupare?
Dipende dal modo di concepire l’inserimento delle figure nello spazio a loro destinato.
E lo spazio di Pierre?
Di Gerda, dei suoi amici? Dei genitori, della sorella Gloria?
Pierluigi Coda ci prendi in giro?
Lo spazio è compresso, quasi  negato dall’imponenza delle figure stesse. Ma questo l’autore lo sa benissimo; niente prese in giro: pagina dopo pagina scopriamo di essere dentro il quadro, no, mi correggo, di essere IL quadro. Creature nude nella loro miseria creaturale al pari di Adamo ed Eva.
Nel frattempo Pierre vive, si muove, gioca, impara il francese, i suoni nasali che lo tormentano all’infinito. Viene sempre più desiderio di analizzarlo questo Pierre, di analizzare la sua immagine sul piano pittorico. Siamo o non siamo (dentro) il quadro?
Ecco allora vibrare i passaggi cromatici della sua carne e dell’epidermide segnata dalle vene che premono in superficie o sussultano nel chiaroscuro di una leggera peluria, nella realizzazione dei soffici e rigonfi capelli dell’amico Richard, di Luc, di Marco animati da sottili striature di luci ( quelle che si riflettono, la notte, sul lago Lemano) o, ancora nella bellissima invenzione prospettica del piede portato avanti le cui dita sollevate consentono di scorgere uno scorcio di pianta che sottolinea la visione da sottoinsù, espressione così cara a Pierluigi Coda da ricorrere spesso nei tratteggi dei protagonisti del racconto.
Sottoinsù crea un rapporto spaziale che lega l’osservatore alla figura e allo spazio dipinto della nicchia in cui è collocata.
Ma dove eravamo? Nel quadro? Nel libro? Nella vita?
Si cresce così? Caspita se si cresce!
Allora resta una sola cosa da fare e Pierre la fa.
Io gli ho messo in bocca queste parole:
“I desideri stavano strappandomi l’anima…li avrei potuti vivere, ma, non ci sono riuscito.
Allora li ho incantati e, a uno a uno, li ho lasciati dietro di me.
Ho disarmato l’infelicità e li ho sfilati dalla mia vita….
Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l’altro, incantati, immobili (come l’acqua del lago Lemano o quella melmosa dell’Isis), fermàti lì 4ever a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno ho mai avuto il coraggio di raccontare…se non a te” ( Alessandro Baricco).
La famiglia? Non si sceglie, quella te la ritrovi e basta. Gli amici? Quelli sì, li scegli tu. Sì, le amicizie te le scegli. L’Amore? No! Non possiedi questo potere. L’Amore ti sceglie Lui!
Tu, lettore, che parole metterai sulle labbra di Pierre?

(Commento critico di Cristina Raddavero)