Quando l'Astronomia incontra la Poesia

Biografia:

Flavio B. Vacchetta è nato a Bene Vagienna (Cuneo) dove vive e lavora.
Ha pubblicato diverse raccolte poetiche: Nel segno della bilancia
(2000), Silente meridiana (2001, prefazione di F. Piccinelli), Sorgenti (2002), Universo vagabondo (2003), Altra metà (2005, prefazione di M. ella Ferrera), Akeldamà (2009, prefazione di G. Bàrberi Squarotti e M. ella Ferrera)  È presente in numerose antologie letterarie: Antologia dei poeti contemporanei (Penna d’Autore), Nuove declinazioni (Edizioni oker), Albero degli aforismi (Lietocolle). Appassionato di astronomia ha fondato il “Gruppo Astrofili Benesi” e collabora con l’Uai (Unione Astrofili Italiani). Il connubio fra astronomia e poesia si ritrova in una recente mostra fotografica e in un dvd, da lui curati e dedicati all'"astropoesia".

Il 25 settembre 2014 conquista il 3° Premio al "Premio Nazionale di Arti Letterarie" di Torino con la silloge La scala luminosa edito da Puntoacapo di Novi Ligure.

2015 - Poeta segnalato alla VIII Edizione del Premio Wilde Concorso Letterario Europeo sez. poesia a tema libero.

6 Novembre 2015 - Finalista al "Premio Pannunzio" di Poesia Organizzato dal Centro studi e ricerche Mario Pannunzio - Istituto italiano di cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati nel 1968

 


La katàgrafè di Flavio Vacchetta e le ultime liriche inedite nella presentazione di Cristina Raddavero;
Il Premio Nazionale di Arti Letterarie del 25 settembre 2014 a Torino
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Commento critico:

Il brogliaccio (della poesia) di Flavio B. Vacchetta è la Vita , ex professo, sillabata dall’alfa all’omega .
Un “vocalizzo” ove tutto è possibile e la con-versione dei suoni si proietta in immagini “goliardiche” (etimologicamente intese come “ribelli”)  pennellate di tragikòs accolto come una delle tante dimensioni dell’Uomo senza che questo vi indugi lacrimando e autocommiserando il proprio stato.
Il tessuto poetico, di singolare originalità, evoca vissuti che trasmutano in sarcastiche ri-creazioni del mondo, meglio dire di quell’unus-“versus” in modo da formare un tutto; il Tutto delle rifrazioni  del Tempo senza possibilità di riverberi che non siano quelli amplificati e “distesi” sull’Infinito unicamente per dilatare la Risposta provvisoria e incerta, alla Domanda provocatoria e indisponente: dal giorno che nasci/ incominci a morire/ l’universo ti appartiene/ come collana al collo/ e meridiana che calcola i tuoi giorni/ li consegna al tempo per le correzioni.
Nella brevità, così come nell’estensione dei componimenti, la fragranza gaudente del linguaggio, attingibile in particolare nella sezione dedicata alla figura femminile  in cui prorompe un erotismo festoso con l’identica forza dell’esplosione della parola vehiculum  di “Sussurri e Grida” fatti convergere nella polarizzazione dell’Io “suscitato” in A(E)STROVERSI.
Infine il titolo della raccolta: Akeldamà (Campo di sangue) : dissonanza solo apparente nel gaudio poetico di Vacchetta, o, se si vuole, “stridore di denti”  che traghetta per il “tradimento” da parte dell’Uomo “presente” nei confronti della natura e della Bellezza salvabili nella spes e nella mèta-Bellezza di cui quella terrena, fisica, corruttibile  è indimenticabilmente effigie e pittura: Luce è il tuo amore/ magma freddo/ dissolto vivere/ ma bello e molto.
(Commento diCristina Raddavero)

Flavio Vacchetta è davvero un buon poeta, perché al di là dei vari premi e riconoscimenti prestigiosi ricevuti, lo dicono il cuore e la mente di chi ha la ventura di avere fra le mani le sue poesie. Sono liriche che hanno il potere di attrarre e coinvolgere alla lettura, facendone strumento di passi comuni in un cammino umanissimo e perciò variegato di sentimenti ma parallelo ad un altro di elevata dimensione spirituale. Diverse potrebbero esserne le letture: dalla gratitudine per il bello della vita, la natura, l’universo, al conforto nelle  difficoltà e nei dolori che avvinghiano ciascuno e lui, Flavio, in questo momento particolare di lutto. Poesia  come luogo per decantare il dolore, poesia come taumaturgico linimento offerto dallo stesso Dio del canto, della gioia, della bellezza. Ma la poesia di Flavio ci pone  di fronte ad una più grande riflessione: come, proprio attraverso il dolore, fiorisca la parte più bella e più nobile di noi. Dolore dunque come crogiuolo che annulla ciò che non serve per giungere all’essenza. La sua ultima raccolta “La scala luminosa”, corredata di note critiche di firme illustri, da Piccinelli a Della Ferrera, da Ferrari alla Raddavero, ne propone un esempio. Una trentina di situations” poetiche fotografate nude , scannerizzate, scansionate, scritte intingendo l’ipotetica penna nell’inchiostro livido del dolore, senza compromessi  emotivi, e forti proprio di questa verità  accettata senza dribblare. Talvolta, e i grandi come Turoldo, ce lo insegnano, persino sfoderando l’arma dell’ironia, amara ma pur sempre tale. Poesie talvolta prive di punteggiatura, senza maiuscole, in cui si riconosce la volontà ferma intenzione di non fermare il flusso di quel momento di verità, senza barriere, versi liberi di strabordare e raggiungere tutti, anche quelli che vivono lontano dal fiume della poesia….Un Nilo generoso che lascia il suo benefico e vivificante limo.
(Commento di Maria Grazia Gobbi)

Leggendo gli ultimi inediti di Flavio Vacchetta, inseriti nella raccolta P.U.F.(poesie uniche forse) in occasione del decimo anniversario della pubblicazione del suo primo libro di poesie, mi è balzata in mente l’arguta riflessione di Aristotele relativa al rapporto che intercorre tra corpo e anima, efficacemente supportata dall’immagine della cera e della forma della candela; la riporto integralmente: « Tra corpo e anima vige un rapporto materia - “forma”, come se l’anima fosse la vera forma del corpo. Chiedersi se corpo e anima siano la stessa cosa è una domanda priva di senso: è come domandarsi se sono la stessa cosa la cera e la forma della candela».
Dov’è  questo confine nelle poesie di Flavio? C’è davvero? E’ importante che ci sia? No! Decisamente no. E in virtù di questa assenza si apre al lettore il mondo di Flavio che va oltre Flavio, uomo che sospira le proprie passioni e la propria volontà bramando le passioni e la volontà dell’altro che ha innanzi, lungo crinali di lenzuola leggere, porzioni di cielo, lembi di mare, nettare di-vino, notti oblique cui non chiedere il perché…Il perché di Flavio contempla l’uomo, le proprie vicende, il proprio sentire, universalizza contenuti solo apparentemente privati e circoscritti e riesce a fondere con leggiadria e grazia fiabesca un sorriso con una lacrima, la gioia con il dolore.
Il risultato finale è un’armonia incantevole in cui nulla stona, ma tutto si equilibra nella potenza della sensibilità che sfuma nella dimensione inafferrabile dell’anima attraverso la concretezza del corpo che abbiamo in dotazione.
Il linguaggio resta spesso come sospeso e differito e questa foggia ritmica, questa “sospensione” più volte presente si trasforma in musicale refrain in cui vengono evocati stati d’animo i più sfaccettati, modulati sul lento svanire dei sogni o improvviso ri-apparire della realtà sulla scia del rimando aristotelico… cera e forma della candela: ingenuo rispondere o chiedersi il perché: meglio goderne appieno!
 Jhon Keats scriveva: «Un momento di bellezza è una gioia per sempre; il suo incanto è crescente e mai ricade in cenere…» versi adattabili a Flavio, alla sua poetica, al suo essere viaggiatore tra le stelle e camminatore sulla zolla.
(Commento diCristina Raddavero posted 26 gennaio 2011)

Nota critica ai versi di Flavio Vacchetta in memoria del fratello Guido.

chi mai potrà assorbire, nel tempo
la tua inverosimile partenza?

(Flavio Vacchetta in memoria del fratello Guido)

Guido ha varcato la soglia del tempo e Flavio ha compiuto un pezzo di strada insieme a lui, la più irta di tutte.
Al fratello prematuramente scomparso dedica, come aveva fatto in precedenza con la mamma, i suoi versi in cui aleggia la tensione che reca in se stessa il contrasto “vita-morte”.
San Paolo nella lettera ai Filippesi scriveva: « Sono stretto fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo».
Scrive il poeta: «se potessi restare appeso semplicemente
tra mare e sole appena svelati
ah, cavalcherei quest'onda col mio dolore
ravviverei le acque del Giordano sporche di chemio
nella scoperta della scala luminosa di Guido
Il tono non è aspro pur avendo tutte le ragioni umane di esserlo, le “percosse” sull’anima del poeta si “sfrangiano” in un ritmo sapiente e lucente, reclinato, ancora una volta, sull’uso della parola come ricordo.
Flavio ci ha abituati a scritture “spiazzanti” nella loro totale, piena, avvolgente “normalità”: questa chemio mi lascia l’amaro in bocca, dicevi occorre un minimo di sostentamento per passare le notti.
E così, come nessuno di noi scompare mai veramente, anche per Guido vale la stessa cosa e Flavio sottolinea questo messaggio nella formula di “consolazione” e “ri-scrittura” della vita che, ormai, ci è nota.
L’ esplorazione della malattia coniuga silenzi e sussurri (la sera chiudevi gli occhi chiari tentennando il silenzio) essenze di voci e situazioni “caricate” dall’urgenza di raccontare e raccontarsi, conoscere e ri-conoscersi, scoprirsi ancora una volta, l’ultima.
I versi di Flavio diventano un lungo canto da trattenere tra le dita come filo di preziose perle, da “scortare” dall’inizio alla fine con devozione al servizio di quella Verità che sola garantisce al percorso e all’arrivo alla méta senso e significato altrimenti consegnato al tramestio perenne
della di-sperazione.
Cristina Raddavero (posted luglio 2011)



LA SILLOGE

 

Alchimie

Al mattino l’amore
ha l’odore serale
laggiù si lavora
in maniche di mutande
il muschio – mio caro –
è un pannello vellutato
per la città celeste
gli operai babilonesi
hanno amanti presso la corona inglese
i pastori di greggi
hanno l’acquavite per ristoro
all’alpeggio pascolano di erba
e si ristorano con funghi gratinati
del tempo che c’innamora
pazientemente ce ne scordiamo
le bellezze del cielo
che sfiorano le vene
le praterie con ronzio di mosche
se qualcosa mi piace è la pioggia
che mi bruca il suono
che frequenta i salotti di frutta
e dorme di ruggine mescolata
dunque di comune accordo
mescolo sole e eternità.


Uni(co) verso

Dall’universo
ci s’aspetta
un unico verso,
diverso
al sanmarco restaurant
un mucchio di calamari
(ce l’ho davanti)
parlano da soli
in gusto
non so cosa deglutire
probabilmente troppo.

 

Il cammino

Cammino e mi commuovo
Nella nebbia affermata
-non esiste nulla esiste-
Solo la carità della mamma
Sì quella è una benese?
No cioè sì anche un po’ artigiana
Ricammino e mi ricommuovo
Dove trovo l’utilità?
Innamorati della bellezza del mondo
Ecco cosa occorre oltre la compagna della vita
Ti rendi conto che tutto è perfetto?
Anche l’eternità.


*
Da pochi giorni lei è più bella
Con l’azzurro negli occhi e la maglietta verde
Ricamata di speranza balsamica
È, immobile, presso la fermata del tram
Sul marciapiede lastricato e sogna baci
Osserva il viso di tutti
Mescola l’amore ogni mattino
Ci chiede se la conosciamo.

 

A(e)troversi

6
dal giorno che nasci
incominci a morire
l’universo ti appartiene
come collana al collo
e meridiana che calcola i tuoi giorni
li consegna al tempo per le correzioni

SPETTACOLO DEL CUORE (ALLA MEMORIA DELLA MADRE)

Flavio Vacchetta trasforma le lacrime per la madre scomparsa in un momento lirico che le fa sgorgare “parola” nello Spettacolo del Cuore.
L’autore affida alla poesia ciò che nella vita terrena si è interrotto generando un’onda lunga che produce vibranti effetti sonori sulle note di una musica affranta, ma, pregna delle risorse espressive generate da quella che è stata ed è l’emozione del “contatto” nel percorso-rapporto madre-figlio ancor prima dell’esser nati e nel cammino “sgranato” degli anni trascorsi l’una accanto all’altro.
Le date nervose polarizzano commozione e rabbia, dolcezza e disincanto, pace e ribellione al destino che tutti attende…lo stile diventa portento di un equilibrio in cui anche le pause e i silenzi sanno dire quanto le parole.

(Cristina Raddavero).

 

 

Madre

Madre, nome caro
in alto dei cieli
a tutti gli angeli presenti

madre, che improvvisamente
ci lasci orfani
ma solo sei madre
della nostra anima e della vita stessa

il tuo cuore, il tuo caldo cuore
mi tiene nascosta una verità
che io scoprirò
col mio cuore

****

Ho composto versi per il babbo
Volevi versi anche per te, madre mia
Eccoti accontentata…
Il vero problema è che tu sei allontanata da noi
Troppo in fretta, senza disturbare nessuno
Senza che qualcuno potesse offrirti
Almeno un bicchier d’acqua

***

La bianca manina
Gelida e scomposta
A lungo l’ho baciata
Accarezzandola ripetutamente
Oh madre, la tua manina
A lungo ho osservato, nella bara
E ho baciato ed accarezzato
Anche pianto e pregato
Che ritornasse alla corretta posizione

***

30.07.1929 – 20.01.2007

Nervose queste date:
come il sole illumina la terra
così lo spirito
raggiunge ogni cosa

dal balcone di casa seguivo la mamma
seguivo i  suoi passi che scendevano adagio le scale
non intravedevo il corpo solo le scarpe
una strana sensazione stava per assalirmi
è l’ultima volta che l’avrei vista, da viva.

***

Vedi, cara madre mia, basta poco a morire
E la poesia ti porta a viaggiare in un momento
Di colpo, l’intero spazio, si spalanca
Ai tuoi fragili occhi
Il tutto inizia con un’emozione forte
Obiettivo della tua grande personalità

Eri la mia mamma-bambina
Ricca di grandi braccia e rossetto sulle labbra
Hai capito di morire nel sentire la nuova stagione
Del resto il tuo appellativo era MAGISTRA

***

Avverto la presenza di un’ombra
Dietro di me
Che non si stanca
Che non ha paura

Dorme accanto a me
Facendomi un regalo
Il regalo

***

Ho necessità di dirti tali parole
Affondare il cuore nel tuo sguardo
Se mai un giorno potrò, incredulo
Illudermi di ripetere
Lo spettacolo grande
Del tuo grande cuore

***

Credimi, non è facile accettare
Come le tasse
La morte è inevitabile

Avevi detto che il babbo
ti era apparso in sogno
che ti stavi preparando
ad un evento notevole,
una specie di trasloco

***

Il tuo nome
Lucci
Scritto sull’acqua
Ondeggia a balzelloni
Ora ti conosco
Madre mia
Dove vivi ora?
Madre stai con me
Per potermi dissetare
La sera t’avvolgevi i capelli
Ansiosi i tuoi riccioli
Ti chiedevi se esisteva l’amore
Come peso al cuore

***

La mamma in vestaglia
Era spesso e volentieri
Persino i passeri
Quando si cambiava
La spiavano dal balcone di casa
Volevano vedere la sua bellezza
Intravederla, intrattenerla

***

E’ scoprire che ti piaceva
Venire in cucina e cuocere il cibo
Poi raggomitolarti tra le mie braccia
Come un carabiniere fa con l’arma
Non ci siamo resi conto
D’avere una rosa sempre profumata

***

Chi sei madre mia e dove ti trovi?
Di certo io ti cerco

                                                madre, per un’ora solo
                                                mi è concesso di riabbracciarti
                                                                                        a rate?

                                                madre per un’ora solo
                                                mi è concesso di riabbracciarti
                                                                                        a rate?

 

 

 



Da premio "Turoldo 2012"

VISITA ALL'INFERNO

Mi dicono: la diagnosi della sua signora varia
da adenoma ipofisario ad estesioneuroblastoma
come dici?
Mi viene in mente una corda da legare
all'abete nella sera tarda.
Perire di spada non mi garba
parlare di lingua è un trasporto
grave e secco.
S'accende una luce in me
m'illumina una prudenza
chi dite che io sia?

Il Flavio di "Turoldo" diagnostica il male fisico agostiniano biografando la malattia, umanizzandola in versi talmente consueti da divenire lirismo eccezionale nella mano di Anna,  in un matrimonio surreale, in un ringraziamento firmato con la bava, striscia iridescente di giorni in cui non c'è scarto tra incubo, sogno, realtà.

Flavio Vacchetta trasfigura messaggi in cui speranza e di-sperazione sembrano cercarsi nell'amplesso giocoso di parole colme di vita al punto da spogliarle e disarmarle ad un tempo della loro beffarda potenza. E' la grande "miseria" dell'uomo in cui il poeta affonda la sua penna vestita di un'anima "versata" a stento tra dita rattrappite al sapore di funghi porcini, restituite in umiltà alla terra perché si innalzino al cielo in preghiera di ossigeno eterno.


(Commento postato da Crisitna Raddavero 3 febbraio 2012)

 

Flavio Vacchetta: "La scala luminosa" (con note critiche di Mauro della Ferrera, Franco Piccinelli, Cristina Raddavero, Mauro Ferrari) - Puntoacapo Edizioni - Novi Ligure

Il titolo dell’ultima raccolta poetica di Flavio mi è entrato subito nell’anima e ci è riuscito attraverso quella modalità particolare che è poi la medesima dello stile dell’autore, quell’approccio vero al verso perché nel verso pulsa la vita: sua, mia, tua, di ognuno.
Attenzione però, perché il fatto che questi versi possano essere di tutti e di nessuno, non significa che siano consegnati all’astrazione, la sola maga-strega che non conoscono i bambini ma, con la quale sanno intessere, invece, fittissimi rapporti gli adulti.
I versi di Flavio sono suoi, miei, nostri perché dentro ci scorrono i giorni, il quotidiano saliscendi dell’uomo, molto spesso amaro e dolente.

Eppure…eppure la scala di Flavio è portentosa, è una scala che proprio perché la scendi, la sali.
E’ una scala che racchiude la condizione universale inglobata in gorgheggi che non risparmiano l’ironia e nei quali la parola poetica si compie trattando ogni tipo di materiale (incontro tra piccioni e topi in Versi a stento e in Sera il vertice di un orizzonte steso contro il cielo che spolpa i miei occhi).
Flavio conquista perché la partitura guizza da una parola all’altra e lo spartito ha note mistiche  immerse nel sano profumo di letame.
Dalle liriche di Flavio, dai suoi apparati linguistici del tutto informali e innovativi traspare, infine, anche un messaggio forse oltremodo “scomodo” ma, decisamente ineludibile: Dio passa, stanne certo, o con una carezza o con uno sberlone, passa e ti porrà la fatidica domanda: « E tu, chi dici che io sia? » a te la risposta, cui difficilmente, potrai sottrarti.
(Commento di Cristina Raddavero)

Il poeta durante la presentazione del suo libro

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